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Il pregio di quanto accaduto in Grecia e i riflessi che avrà nelle dinamiche europee è certamente di aver tolto di mezzo molte parole e molti riti che hanno portato
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Il pregio di quanto accaduto in Grecia e i riflessi che avrà nelle dinamiche europee è certamente di aver tolto di mezzo molte parole e molti riti che hanno portato l’eurozona alla crisi nella quale ancora si attanaglia. O almeno questa sembra essere la strada imboccata nelle reazioni al risultato del referendum ellenico. In questa direzione sembrano muoversi, pur con molti mal di pancia, i maggiori leader europei mentre dal governo greco – ormai orfano di Varoufakis – continuano a giungere promesse di piani risolutivi e accuse al mondo cattivo che vuole la Grecia in ginocchio.
Esasperazioni “pro domo loro” certamente. Tuttavia il colpo c’è stato e nessuno potrà far finta di non aver capito. Due elementi vanno aggiunti: il primo l’affluenza alle urne greche è stata del 65 per cento (validità del voto al 40 per cento). Questo vuol dire che l’oltre 60 per cento dei no (come il dato del sì) è una percentuale che va vista nella sua reale portata. Di qui la arrogante ma intelligente capriola di Tsipras che nonostante un responso contro l’attuale visione dell’eurozona ha subito precisato ai vertici dopo voto e all’assemblea di Strasburgo di voler restare nella moneta unica e di avere idee coraggiose per farlo. Dall’altro lato, l’Unione Europea non ha potuto contare su un voto in larga parte scontato con i limiti appena descritti e mostra ancora qualche spiraglio.
Tutto questo dilaziona ancora una volta quella grexit di cui tutti parlano per esorcizzarla e il cui risultato sarebbe quello di mettere sulla linea di tiro gli altri paesi mediterranei tra i quali l’Italia.
Ecco perché la soluzione alla crisi ellenica nel quadro europeo avrà impatti seri sulla condizione del nostro paese dove ai timidi segnali di ripresa dell’economia e ad altalenanti segnali sul fronte del lavoro, fa da contraltare una crisi endemica della politica e una preoccupante salita dell’insofferenza sociale. L’Italia non è la Grecia, ovviamente e questo non è tanto un assioma idiota ma una constatazione fattuale di molti commentatori internazionali. Gli effetti di quanto accade ad Atene potrebbero però essere comunque di difficile gestione.
Ecco allora che per il premier Renzi, la sua maggioranza, la minoranza del Pd e tutte le minoranze parlamentari si pongono interrogativi decisivi sul futuro e sul paese che dovrà uscire dalla stagione delle riforme.
Per Renzi e la sua recente simpatia per la posizione della Merkel (apertura a proposte plausibili ma in una severa cornice di rigore europeo) il cammino si fa se possibile più irto di ostacoli interni ed esterni. Nel Pd e nelle frange in uscita a sinistra non si è ancora sanata nessuna delle ferite aperte dallo scontro di questi mesi e in vista di passaggi fondamentali sulla scuola e sulle riforme istituzionali come sul fronte della ripresa economica, non è il viatico migliore.
Oltretutto, la sindrome ellenica continua il suo contagio sulle frange ormai senza identità e senza scopo della sinistra nostrana. Priva di ancoraggi parlamentari, ma ricca di velleità “rivoluzionarie” ora e sempre, affida la sua esistenza alle fiammate ora della Grecia ora di qualche altro paese come la Spagna, spesso scambiando fischi per fiaschi e lucciole per lanterne. Spettacolo penoso quello degli eredi delle brigate Tsipras di inizio anno, nella calura di piazza Syntagma mentre da intellettuali organici di sovietica memoria portavano il contributo della loro entusiastica partecipazione alla lotta del popolo greco dove contadini ed operai si contrapponevano al ceto medio quasi distrutto dalla crisi! Un bell’esempio e una grande lezione non c’è che dire, sulla strada della rivoluzione dura e pura!
Le opposizioni presentano il solito caleidoscopio accecante di bagliori. Nell’area del centrodestra la lega di Salvini continua la sua azione senza ostacoli di ipoteca sulla leadership, mentre il timido tentativo dell’ex cavaliere di fare da ponte o da traino rischia nuovamente di finire sugli scogli giudiziari ancora non risolti. Nel centro del centrodestra è tuttora in azione la formula della scissione del neutrino e più che un’area politica sembra ancora una somma di gruppi misti e un mix di gruppi indefinibili.
Come sempre discorso a parte quello dei cinque stelle sempre candidati alla guida del paese che vogliono senza conoscere quello che hanno davanti, nella tipica visione dei guru spacca tutto e costruisci niente alla quale ci hanno abituati. Con il rischio che una debacle del governo e un voto anticipato potrebbero favorire oltre misura le loro aspirazioni se le riforme dovessero segnale il passo e le ansie sociali prendere il volo. Anche in questo caso affascinati dalla sindrome di Atene.
Occorrerebbe per tutti e per il bene del nostro paese, un coraggioso atto di discontinuità per volare più in alto delle contingenze attuali. Con una visione adeguata ai mutamenti in atto.
Ci soccorre in questo quadro quanto disse oltre un secolo e mezzo fa il sedicesimo e uno dei più grandi presidenti degli Stati Uniti, Abramo Lincoln, analizzando la situazione difficile del paese. “I dogmi di un passato tranquillo sono inadeguati al presente tempestoso (le sue parole). La situazione è irta di difficoltà, e noi dobbiamo essere all’altezza della situazione. Poiché il nostro caso è nuovo, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo. Dobbiamo emanciparci.”
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::672::/cck::