Esteri

Vincono tutti, tranne Israele

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Iranian Nuclear Agreement.	https://twitter.com/JohnKerry?original_referer=http%3A%2F%2Fwww.state.gov%2Fsecretary%2F&profile_id=15007149&tw_i=620913249370906624&tw_p=embeddedtimeline&tw_w=417719989978664960Un segnale di pace. E’ questa la sensazione che lascia la conclusione dell’accordo sul “nucleare iraniano” raggiunto ieri 14 luglio a Vienna tra i 5+1 (USA, Russia, Cina, Regno Unito, Francia – membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, titolari del diritto di veto in quella sede – più Germania) e l’Iran.

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Un segnale di pace. E’ questa la sensazione che lascia la conclusione dell’accordo sul “nucleare iraniano” raggiunto ieri 14 luglio a Vienna tra i 5+1 (USA, Russia, Cina, Regno Unito, Francia – membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, titolari del diritto di veto in quella sede – più Germania) e l’Iran.
Non tragga in inganno la parola conclusione: si tratta certamente di conclusione di un accordo, ma non certamente di quella del negoziato avviato venti mesi or sono. Un evento estremamente importante in ogni caso, salutato con soddisfazione dalle parti ma con Israele da sempre contrario, meglio sarebbe dire ostile.
L’immediata sintesi di John Kerry, Segretario di Stato USA, “l’accordo è un passo che allontana lo spettro del conflitto, verso una possibilità di pace”, lascia il posto a quello che viene considerato il maggior successo della carriera presidenziale di Obama, secondo cui “gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno raggiunto un accordo importante che impedirà ogni percorso dell’Iran verso le armi nucleari”.
“Un segnale di speranza”, per Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Unione Europea, ma di tutt’altro segno l’opinione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, per il quale l’accordo costituisce “un errore di proporzioni storiche”.
Non si deve dimenticare che alcuni mesi or sono, quando si profilava all’orizzonte la possibilità di un accordo – ma le parti erano ancora nell’impasse delle sanzioni e dell’acquisto di armi da parte di Israele – il premier israeliano, in aperta rottura col Presidente Obama, fu invitato a tenere un discorso al Congresso americano (la comunità israelitica è molto potente negli USA) e fu lungamente applaudito in più di un passaggio del suo discorso.
L’accerchiamento, temuto dal governo di Israele, costituisce il principale rischio per quel popolo, anche se contraddetto dalla propaganda costruita dallo stesso Netanyahu in taluni casi, come quando in Francia per commemorare i caduti colpiti dagli attentati successivi alla strage di Charlie Hebdo, rivolse alla comunità israelita l’invito ad emigrare verso Israele, perché lì sarebbero stati al sicuro.
In ogni caso, la resistenza di Israele non si farà attendere: il negoziato non è concluso. I passaggi formali ancora mancanti, oltre ad una risoluzione dell’Onu, sono le ratifiche da parte dei parlamenti iraniano e statunitense ed a quest’ultimo Obama ha già mandato un “avviso” ricordando il suo potere di veto su qualsiasi legge che possa minacciare la firma dell’accordo.
In tema di scenari futuri più avanzati, riferiti alle probabili ricadute economiche dell’accordo, colpisce l’opinione di Rachel Marsden, columnist, esperta di strategie politiche, pubblicata sul Chicago Tribune del 14 luglio 2015, che paragona gli effetti economici attesi nel medio lungo periodo sullo sviluppo dell’economia nell’Iran e nell’intera Regione medio orientale a quelli ancora in corso nella Russia di Putin, dopo la caduta del muro di Berlino. (http://www.chicagotribune.com/news/columnists/sns-201507141300–tms–amvoicesctnav-b20150714-20150714-column.html)

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::autore_::di Giorgio Castore::/autore_:: ::cck::682::/cck::

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