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La Redazione si scusa con l’Autore per non avergli sottoposto preventivamente il testo nella traduzione in italiano.
La Grecia era la civiltà in cui dramma e farsa sono stati stabiliti come forme teatrali.
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La Redazione si scusa con l’Autore per non avergli sottoposto preventivamente il testo nella traduzione in italiano.
La Grecia era la civiltà in cui dramma e farsa sono stati stabiliti come forme teatrali. I negoziati con la Eurozona sono stati un dramma per il popolo greco, e una farsa per i leader europei. In realtà, si tratta di un dramma per tutti, e la fine del sogno più radicale dopo la seconda guerra mondiale. Vediamo perché. Sarà un po’ lungo, ma senza un po’ di storia non è possibile comprendere come si arriva a questa situazione.
I Media hanno presentano il diktat tedesco verso la Grecia, come una differenza culturale, tra il duro lavoro della formica e la irresponsabilità della cicala, dalle favole di Esopo, più l’etica di lavoro del nord protestante contro l’etica cattolica nel sud (i greci sono ortodossi). Quelli sono realtà, ma questo lascia fuori verità importanti.
Prima di tutto, ricordiamo che l’euro è stato un disegno politico, non un progetto economico. Sostanzialmente venne fuori da un accordo tra Mitterand e Kohl. Quella paura del potere di una Germania riunificata (mi piace così tanto la Germania che preferisco averne due, aveva scherzato il presidente francese), fece chiedere al cancelliere tedesco di abbandonare il marco tedesco molto forte, e accettare una moneta comune europea, in modo che il destino della Germania sarebbe stato sempre legato agli altri paesi europei. Kohl, che era come tutti i leader del tempo genuinamente (tranne Thatcher) impegnati per l’integrazione europea, accettò l’idea, e anche che il primo governatore della Banca centrale europea non sarebbe stato un tedesco, come ai suoi elettori sarebbe piaciuto. Per i tedeschi l’abbandono del marco fu un forte sacrificio psicologico, dopo le loro esperienze dolorose di instabilità finanziaria. Kohl agì come uno statista europeo, a caro prezzo personale con il suo elettorato: qualcosa oggi semplicemente inimmaginabile.
Il disegno dell’euro era chiaramente incompleto, senza unità fiscale e l’ulteriore integrazione finanziaria. Ma in quel momento, tutti pensavano che l’euro avrebbe accelerato automaticamente l’integrazione europea. Il muro di Berlino era stato abbattuto un anno prima, nel 1989, e nessuno poteva prevedere come la fine della minaccia comunista avrebbe cambiato la politica all’interno del mondo capitalista.
Negli anni dopo l’introduzione dell’euro (2012), una Germania più grande e più forte fece aumentare la propria forza, grazie anche alle riforme del mercato fatte sotto Schroeder, che portarono dolore ai tedeschi più poveri. Questo ha lasciato il paese nella convinzione di aver fatto la propria parte di sacrifici, e l’austerità funzionò, e fu la ricetta per la crisi. La Germania divenne un esportatore netto all’interno dell’Unione europea, ed usò il surplus per espandersi ulteriormente internamente. I tedeschi vedono quel surplus come risultato dei loro sacrifici e del loro lavoro e, per questo non guardano con simpatia i Paesi con deficit. Il commento comune della strada è: perché i miei soldi dovrebbero andare a persone che non sono in grado di gestire il proprio paese?
E ‘qui che si vede la differenza tra uno statista e un politico. La Merkel (che tra l’altro cacciò dalla politica Kohl, che era il suo mentore), non ha mai cercato di educare i suoi elettori a una visione europea. Così pochi tedeschi capiscono che gran parte della loro ricchezza è venuta dai consumatori europei (che sono anche i cittadini europei). Il loro atteggiamento con il piano di salvataggio della minuscola Cipro è stata di intransigenza totale. E non c’è mai stato alcuno sforzo da parte delle autorità tedesche di spiegare ai loro cittadini che sono tutti nella stessa barca.
E’ giusto sottolineare che comunque la Merkel non è sola nel dirigere i sentimenti nazionali. Lo stesso sta accadendo in tutta Europa. I tempi di De Gasperi, Adenauer, Schuman, sono finiti. Nell’Unione europea siamo passati da Delors a Juncker. Visione e idealismo hanno dato spazio agli interessi nazionali e l’UE è vista come una mucca da mungere.
La guida non esplicita per l’allargamento dell’Unione europea a 28 paesi è stata: il denaro.
L’euro è diventato per questo motivo una camicia di forza per i paesi con deficit, e uno strumento di potere per i paesi con surplus, come il Premio Nobel Paul Krugman ha scritto sul New York Times, chiamando l’euro il “Roach Motel”, dove una volta entrato non si può fuggire . La Grecia vale il 2% del PIL Europeo. Ma lo stesso meccanismo che ha fino ad ora ha reso impossibile per una regione di 450 milioni di persone concordare su come ricevere 40.000 rifugiati, molti da paesi come la Siria e la Libia, della cui distruzione l’Europa ha una responsabilità diretta, è stato giocato con la Grecia.
I Paesi creditori insistono sul fatto che la Grecia ha già ricevuto due salvataggi: uno nel 2010 per 110 miliardi di euro, a condizione che avrebbe estinto il deficit, e un altro nel 2012, per 220 miliardi. Ciò che non è stato in gran parte dichiarato è che tali prestiti sono stati erogati sotto un rigido controllo della BCE, del FMI e dell’UE, che lo ha fatto in modo tale da rendere sicuro che l’80% sarebbe andato direttamente alle banche europee che avevano investito prima in titoli greci, perché erano i più redditizi. Le banche tedesche e francesi erano state le più esposte. Solo il 20% è andato all’ economia greca. E l’austerità che viene con i prestiti, ha portato una devastazione sociale ed economica. Gli altri paesi che hanno ottenuto un piano di salvataggio unito con il programma di austerità (Spagna, Portogallo e Irlanda) hanno perso il 7% del loro PIL nella crisi. La Grecia, il 26% del PIL. I salari sono scesi del 14%. La Grecia è l’unico paese dell’Unione europea dove il salario minimo è diminuito. La disoccupazione è al 26% (giovanile al 50%). Più del 75% dei disoccupati è fermo da oltre un anno. Secondo l’OCSE, una persona su cinque non può permettersi un pasto. I senza casa sono triplicati negli ultimi due anni. La povertà minorile è al 40,5%.
Non c’è bisogno di essere un premio Nobel come Krugman e Stiglitz per osservare che in un Paese con poca industrializzazione, una gigantesca burocrazia e scarsa produttività, per correggere anni di cattiva gestione e di corruzione, di evasione fiscale e di un benessere gonfiato, sarebbe stata necessaria una regolazione complessa e progressiva. La ricetta di austerità era che in due anni dal 2010 al 2012, il bilancio avrebbe dovuto essere in parità. Negli ultimi cinque anni, la Grecia ha tagliato le spese e aumentato le imposte del 30% del PIL. Nessun altro Paese europeo è stato in grado di farlo. Ma, come si studia nel primo anno di università in studi economici, il PIL è costituito da quattro elementi: investimenti pubblici, che sono scomparsi. Surplus nel commercio, che non era mai stato una condizione in Grecia. Investimenti in ricerca, istruzione, sanità, settori che sono stati riportati indietro di decenni. E infine, la spesa dei cittadini, che ha avuto una battuta d’arresto. Come potrebbe un bilancio risanarsi con tagli solo su spese e stipendi? Come si può risolvere l’evasione fiscale in pochi mesi? Non è un caso che in cinque anni sei partiti sono stati al governo e il paese è stato guidato da quattro primi ministri (cinque, se si include un governo temporaneo).
Quando la Grecia ha aderito all’euro, tutti dubitavano delle loro statistiche. Il governatore della BCE, l’olandese Duisenberg, aveva anche lanciato un allarme ufficiale. Ma quelli erano tempi di mucca grassa. E la Grecia era la culla dell’Europa, con una piccola economia, e nessuno se ne curava. Allora, nel 2004, quando l’ala centro-destra con Karamanlis giunse al potere, e trovò che il deficit di bilancio non era dell’1,5%, ma l’8,3%, decise di mantenere il segreto dal momento che in quell’ agosto i Giochi Olimpici stavano tornando lì dove erano nati, in Grecia. Ma il bilancio naturalmente divenne insostenibile, e nel 2008 la pressione fiscale del Paese (che era già un disastro, per non aver raggiunto i ricchi e colpito soltanto i salariati) è crollato. Il buco nel bilancio divenne troppo grande da nascondere.
Nel 2009 il credit rating fu ridotto, prima da parte di Fitch e poi da Moody’s. Il costo del denaro precipitò, e le banche europee scoprirono che i titoli greci stavano perdendo giorno dopo giorno il valore.
Così, nel corso del 2010 venne dato un primo prestito, a condizioni assurde per portare rapidamente il bilancio in equilibrio. I tagli in tutti i settori del paese portarono grandi manifestazioni e solo nel 2011 si susseguirono tre governi. Il conservatore Papandreou accettò nel 2012 un secondo prestito, con le stesse condizioni di austerità. E, naturalmente, la situazione divenne ancora più insostenibile, aggravando il disastro sociale.
Ora è interessante leggere le memorie di Tim Geithner, “Stress Test, Riflessioni sulla crisi finanziaria”, uscite nel 2014. Geithner fu Segretario al Tesoro nel primo governo di Obama. L’uscita dalla crisi degli Stati Uniti è dovuta al fatto che invece di prendere il percorso di austerità ha preso il percorso di crescita, seppur parzialmente. E il governo americano ha da sempre provato a convincere gli europei ad abbandonare la loro fissazione per l’ austerità. Così Geithner, al momento del secondo piano di salvataggio, andò a visitare il ministro delle finanze della Germania, Schauble, il campione della teoria economica di austerità (a proposito, è avvocato, non un economista, per cui sa di più su regole che di economia). Ma trovò Schauble convinto che la Grecia se ne doveva andare, come messaggio per gli altri paesi debitori, in particolare la Francia e l’Italia. Il suo punto era che c’era la necessità di ridefinire il progetto europeo, rendendolo più omogeneo e nel rispetto di rigorose norme comuni. In altre parole, invece di una Germania europea, così come lo era la visione di Adenauer, Kohl, Schmidt, un’Europa tedesca. Lui era totalmente contrario al secondo piano di salvataggio, non aveva fiducia nel fatto che i greci potessero portare il loro bilancio in parità. Venne annullato con grande difficoltà dalla Merkel.
Nel mese di settembre 2014, l’allora primo ministro Samaras volò a Bonn e si rivolse alla Merkel. Egli le spiegò che le impopolari misure economiche che alla Greciaera richiesto di porre in atto, stavano alimentando la nascita di un partito di sinistra radicale Syriza. La Merkel lo ignorò totalmente, e gli consigliò di andare avanti con le riforme subito. Nel mese di gennaio Alexis Tsipras fu eletto da un elettorato esasperato.
Ora molto è stato scritto su come Varoufakis, Ministro delle Finanze del governo di Syriza, si è confrontato con tutti i suoi colleghi europei come un economista marxista. Come il referendum indetto da Tsipras sull’euro era considerato un errore da Merkel e dagli altri creditori. Come il referendum si sia svolto in una campagna di paura, con gli appelli agli elettori greci dal presidente della Commissione europea, Juncker, fino al presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, al vice premier della Germania Gabriel, e così via: in altre parole, dai conservatori ai socialdemocratici. La BCE ha fatto chiudere il flusso di denaro alla Grecia, contrariamente alle sue regole, per aggravare il clima di paura. Ciò che è passato inosservato è stato una lettura politica del referendum e l’arrivo di Tsipras, il quale divenne più importante della stessa Grecia.
Il portavoce mondiale dei circoli economici è, per consenso generale, il Wall Street Journal. Perché il New York Times ha scritto un editoriale per criticare la fissazione di austerità dell’Europa e il ruolo egoista della Germania, il WSJ il 6 luglio ha scritto un editoriale commentando il referendum: meglio una uscita dall’euro che il rischio di contagio politico anti-riforma. Secondo l’editoriale, a meno che non sarà fermato il contagio politico: “Partiti della sinistra in Italia, Portogallo e Spagna avranno un nuovo argomento per andare contro le riforme che hanno cominciato a mostrare qualche progresso … Questo potrebbe condannare il governo spagnolo di centro-destra di Mariano Rajoy che andrà alle urne, entro la fine dell’anno”. Sul 7th un altro editoriale ha indicato che una vittoria di Tsipras rafforzerebbe Podemos in Spagna, e che in Irlanda, l’ala sinistra del partito Sinn Fein, ha anche iniziato ad utilizzare Tsipras per la loro campagna interna. E sull’8th, l’autorevole Holman Jenkins J. ha detto apertamente: “Il Portogallo, l’Italia e la Spagna, i principali stati del welfare europei hanno già fatto la stessa transizione alla dipendenza da altre monete, “per difendere i loro sistemi di welfare”. Pertanto, la difesa della Grecia da una Francia di solito soggiogata, è ovvia: è uno stato sociale in difesa del sistema di welfare europeo contro le riforme che il sistema neoliberista richiede. E Jochen Buttner, il redattore politico di Die Zeit, il settimanale conservatore, ripete gli stessi argomenti: Perché la Grecia ha bisogno di andare via, in una “opinione” pubblicata dal New York Times. “La disoccupazione in Italia, Portogallo e Spagna rimane alta, e populisti anti-unione europea sono in aumento in tutti e tre i paesi. La conclusione che la gente potrebbe trarre da un terzo piano di salvataggio per la Grecia sarebbe quasi certamente che votare per i partiti radicali e comportamenti ostruzionistici premia.
Per questo c’è una aperta richiesta di un cambio di governo in Grecia, e una punizione per i suoi cittadini, i quali ignoravano tutti gli appelli dei leader europei, al fine di evitare un contagio politico. Questo è ben lungi dall’idea di solidarietà europea, e da “una unione sempre più integrata” come dice la sua Carta Fondamentale. Si tratta di una definizione precisa di quale Europa il sistema vuole al potere. E il sistema non ha problemi nel prendere una doppia standard. Guardiamo in Ucraina, che ha appena chiesto un piano di salvataggio, che il FMI stima nell’ordine dei 60 miliardi di dollari. Mentre il deficit greco è il risultato di una cattiva gestione, quello dell’Ucraina è il risultato di appropriazione indebita e corruzione, come è noto. Ebbene, il governo, sostenuto da FMI, chiede un taglio netto (o un annullamento parziale) del suo debito. Secondo Andrew Kramer del New York Times, sono stati avviati negoziati su questo punto. La Merkel è stata irremovibile: no taglio netto per la Grecia, anche se il FMI ha chiaramente affermato che non vi è alcuna possibilità che la Grecia pagherà il suo debito, che è ora al 200% del suo PIL (non c’è da meravigliarsi, visto che devono rimborsare 240 miliardi di dollari dei due salvataggi precedenti). Il FMI ha anche minacciato di non voler essere coinvolto nella realizzazione del terzo piano di salvataggio, se la riduzione del deficit non è stata presa. Il terzo piano di salvataggio è formulato in termini più umilianti, sottraendo ai greci 50 miliardi del loro patrimonio, da liquidarsi da un fondo amministrato sotto il controllo del creditore. La Germania vuole lavarsi le mani da tale attuazione, e preferisce che sia il FMI a fare il lavoro sporco.
La saga greca non è finita, e durerà per molti anni, dal momento che il progetto di austerità è fuori dalla realtà, e come stanno le cose, non farà altro che peggiorare. Sarà anche interessante vedere come i parlamenti dei Paesi creditori elaboreranno il terzo piano di salvataggio. Gli egoismi nazionali verranno chiaramente alla luce. Ma qualcosa ora è già chiara. Il progetto europeo è radicalmente cambiato. Esso non si basa sulla solidarietà e sull’unione, ma sulla moneta ed i mercati. E l’euro, che doveva essere il punto di partenza per l’ulteriore integrazione, ora è un meccanismo che, come dice Krugman, esaspererà il divario tra Paesi forti e deboli. Ora l’Europa dovrà affrontare la Brexit, o il referendum britannico sulla sua permanenza in Europa. La Merkel ha già fatto commenti positivi sulle richieste di Cameron, inclusa la modifica della Costituzione europea. La nuova Europa, guidata dalla Germania, si baserà solo sull’economia, con una riduzione del welfare, con poche preoccupazioni per le questioni sociali e la crescente disuguaglianza sociale.
Un anno dopo il primo salvataggio della Grecia, nel 2011, al congresso annuale del suo partito, a Lipsia, Volker Kauder il leader della CDU nel parlamento tedesco, ha detto tra grandi applausi: “tutto ad un tratto, l’Europa parla tedesco. Non nella lingua, ma nell’accettazione degli strumenti per i quali Angela Merkel ha combattuto così a lungo e così con successo”. Una Germania assertiva ha continuato a crescere da allora, e a marzo un importante politologo di Berlino, Herfried Munker, ha pubblicato un libro di grande successo “Il potere nel mezzo”. La Germania, ha scritto, ha il dovere di guidare l’Europa, perché né Bruxelles, né un altro paese dell’UE è abbastanza forte per farlo.
Sono finite le lezioni della storia. La Germania fu profondamente umiliata dal trattato di Versailles, dopo la fine della prima guerra mondiale, e questo ha portato Hitler al potere. La Grecia, naturalmente, è un piccolo paese, e così la sua umiliazione non minaccia nessuno. Ma la Grecia alla fine della seconda guerra mondiale ha votato a favore del taglio del debito tedesco del 40%. La domanda, quindi, è: è una corretta lettura della storia pensare che a condurre l’Europa, imponendo a tutti il proprio modello interno come l’unica realtà non porti a stress e tensioni? E’ tempo che i tedeschi comincino a pensare a questa domanda …
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::autore_::di Roberto Savio::/autore_:: ::cck::689::/cck::