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La pace in Europa è a rischio? E’ la domanda che dobbiamo porci analizzando la geopolitica globale. Conflitti ad alta e bassa intensità, non di breve soluzioni, ma protratti negli anni, accentuano l’instabilità del Medio Oriente e dell’Africa ed hanno prodotto due fenomeni al momento ingovernabili
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La pace in Europa è a rischio?
E’ la domanda che dobbiamo porci analizzando la geopolitica globale.
Conflitti ad alta e bassa intensità, non di breve soluzioni, ma protratti negli anni, accentuano l’instabilità del Medio Oriente e dell’Africa ed hanno prodotto due fenomeni al momento ingovernabili:
la ripresa del terrorismo internazionale in nome dell’Islam che si rende quotidianamente artefice di crimini contro l’umanità e mette a repentaglio la sicurezza anche dell’Europa;
l’incessante ondata migratoria di milioni di persone in fuga dalle guerre, persecuzioni, e miseria verso i paesi dell’Europa.
Nel cuore stesso dell’Europa, dal 2013 si trascina una crisi o meglio un conflitto tra Russia ed Ucraina con alternate fasi di altissima tensione o bassa intensità, che ha chiamato in causa non solo i due paesi ma la comunità internazionale, l’ONU, l’UE, l’OSCE la NATO, nonché gli Stati Uniti d’America.
Il conflitto ucraino è stato definito dagli analisti la crisi più pericolosa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, perché lo scontro è tra USA e Russia ed il terreno di guerra sarebbe l’Europa intera.
Non sono mancate già per i paesi europei le conseguenze negative di natura economica a seguito delle sanzioni comminate alla Russia da USA ed UE, e grava su di essi l’incombente minaccia di mancati approvvigionamenti energetici.
Nel mondo globalizzato non vi sono eventi, crisi o conflitti, ovunque si verifichino che non coinvolgano in qualche modo anche tutti gli altri paesi ed il coinvolgimento è ancor più pregante quando l’instabilità interessa aree di vicinato.
Il Medio Oriente e l’Africa sono aree di vicinato per l’Europa, l’onda d’urto della ripercussione è forte, basti pensare al terrorismo ed alle migrazioni.
La sanguinosa guerra civile in Siria che dal 2011 ha prodotto 230.000 vittime, oltre tre milioni di profughi, e si svolge in aperta violazione di tutte le norme internazionali anche di Jus cogens del diritto umanitario e della protezione dei diritti umani, in cui vengono ancor oggi utilizzate anche verso i civili armi non convenzionali come quelle chimiche e le barrel bomb;
il fallimento dell’Iraq del dopo-Saddam, lasciato dalla coalizione internazionale troppo presto a se stesso, con istituzioni fragili ed uno scontro interno tra sciiti e sunniti;
la questione palestinese irrisolta ed accantonata;
l’implosione negativa delle cosiddette “primavere arabe”, nel Maghreb ed in Egitto, che ha prodotto una Libia dilaniata, fallita, con due governi inconciliabili tra loro:
rappresentano solo le più evidenti lacerazioni dell’ordine sociale, politico ed economico necessario per la sopravvivenza e la convivenza dei popoli.
Le istituzioni internazionali hanno difficoltà a fronteggiare tali situazioni, pur mettendo in campo gli strumenti a disposizione ed io ringrazio l’Economic Forum di aver voluto, nel meeting di quest’anno, richiamare l’attenzione su un tema di vitale importanza che mette in gioco la pace, la sicurezza e lo sviluppo economico anche in Europa.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite non ha potuto svolgere il suo ruolo soprattutto per il ripristino della legalità violata, a causa del freno esercitato dai veti di componenti del Consiglio di Sicurezza, perché in ogni conflitto prendono il sopravvento gli interessi geopolitici dei membri permanenti.
Sappiamo tutti che la composizione del Consiglio di Sicurezza risponde alle superate logiche dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale e non alle necessità di relazioni internazionali profondamente mutate.
Le Risoluzioni per le gravi violazioni dei diritti umani soprattutto verso i civili in Siria sono arrivate in ritardo e spesso non sono state osservate, come per il divieto dell’uso di armi di distruzione di massa e degli attacchi ai civili.
Così come è stata disattesa l’applicazione dei sei punti indicati dall’inviato speciale ONU ed approvati con la Risoluzione n.2042 del 2012. Solo dopo quattro anni di conflitto in questi giorni è stata finalmente varata la Risoluzione per l’avvio dei negoziati finalizzati alla ricerca di una composizione del conflitto, perché è finalmente venuto meno il veto della Russia.
Anche gli accordi di Minsk 2,del gruppo di contatto OSCE-Kiev-Mosca_UE per la cessazione delle ostilità nelle repubbliche ucraine di Donetsk e Lugansk del febbraio scorso non sono stati osservati e non sappiano se il recente accordo per il cessate il fuoco dal 1° settembre sarà mantenuto.
Se, come abbiamo sottolineato agli obblighi derivanti dall’osservanza del diritto internazionale, si sostituisce l’uso della forza, il mondo non sarà più controllabile.
Ancora più problematico risulta il ruolo della NATO, soprattutto nel conflitto ucraino, se si considera che una delle cause a monte conflitto è connessa al timore ingenerato nella Russia da una paventata adesione dell’Ucraina in tale organizzazione regionale!
La visione lungimirante che tale organizzazione ha dimostrato dopo la fine della Guerra Fredda, trasformando il suo concetto strategico di alleanza difensiva in alleanza per migliorare relazioni esterne, sicurezza e pace, dovrebbe essere mantenuta anche in questa complessa fase di tensione con la Federazione russa.
Come in altre crisi, anche in quella Ucraina va rilevato ed apprezzato il ruolo di osservatore e mediatore dell’OSCE, tutto proiettato alla pace, alla sicurezza ed al rispetto del diritto internazionale.
Ma spesso l’OSCE rimane sola in scenari difficili che richiedono anche interventi di altri organismi che per motivazioni politiche non riescono ad apportare il loro contributo.
L’Unione europea di fronte alle crisi si è sempre attivata, nel vicinato e nel mondo, introducendo anche le missioni multitask, civili e militari , con la principale vocazione della ricostituzione del rule of law.
Ma la politica di sicurezza e difesa comune, anche dopo Lisbona, rimane intergovernativa con tutti i freni che l’unanimità comporta nelle decisioni.
Sottolineati i punti di forza e di debolezza delle organizzazioni internazionali e regionali ci si chiede: allora come affrontare gli scenari densi di incognite che si presentano?
Comprendiamo benissimo le preoccupazioni dei paesi dell’Europa centrale e orientale, che più degli altri da una parte temono il revanscismo imperialista della Russia e dall’altra si sentono minacciati dalla forte pressioni migratoria proveniente sia dal versante balcanico che da quello meridionale.
Le soluzioni non sono semplici, né facili, ma siamo convinti che il cammino di oltre sessanta anni di democrazia e coesione all’interno dell’Europa non possono essere distrutti con il pericoloso ritorno ai nazionalismi, soprattutto quelli più accesi che ci riportano alle cause della Seconda Guerra Mondiale ed alle sue rovinose conseguenze.
Siamo di fronte ad un cambiamento globale ed epocale che va gestito all’interno dei processi di cooperazione tra gli Stati, utilizzando al meglio e con migliore coordinamento tutti gli strumenti che gli Stati stessi si sono dati per costruire il percorso di democratizzazione e di pace che abbiamo vissuto in questi anni.
E’ importane di conseguenza che tutti i paesi dell’Unione europea partecipino al cambiamento delle regole per l’asilo, dettate dal Regolamento Dublino II e III.
Le leggi ed i regolamenti, se non sono più idonei ai loro fini, si infrangono da soli contro il flusso inarrestabile della storia e la decisone della Germania, di violare Dublino, lo sta ad attestare!
Inutile costruire muri, essi vengono sempre abbattuti dagli eventi più forti della volontà degli uomini e dei governi.
Nessun paese potrà in futuro essere sicuro ed in pace, se non si partecipa tutti, con spirito collaborativo ai tavoli decisionali dell’Unione europea per riscrivere regole e norme per la gestione del fenomeno migratorio.
Non è solo un problema di ripartizione di quote dei richiedenti asilo, anche perché la ricostruzione dello Stato siriano determinerebbe il rientro in patria di un consistente numero di profughi, come è avvenuto alla fine della crisi nei Balcani degli anni Novanta.
Occorre che in Europa si crei una cabina di regia in grado di impedire il traffico di esseri umani perché la nostra società civile non può più tollerare le continue stragi di migranti.
E’ urgente che l’Unione integri gli accordi di cooperazione con gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo, quali Turchia, Tunisia, Libano, Giordania, per l’apertura presso le proprie delegazioni di sportelli per la presentazione di domande di asilo, e per la prima istruttoria delle domande stesse.
Le nazioni Unite potrebbero provvedere alla gestione ed alla prima assistenza dei flussi in quelle realtà e alla predisposizione di corridoi umanitari per il trasporto in Europa.
Per i migranti economici sempre l’Unione europea potrebbe rivedere, laddove inattuati, gli accordi di riammissione.
Anche i piani di ingresso lavorativo annuali dovrebbero essere concordati a livello Ue, come parte integrante della politica di sviluppo economico dell’intera area.
Nella complessa realtà del mondo globalizzata è d’obbligo procedere uniti e cercare soluzioni condivise che richiedono sempre qualche rinunzia ma se la prospettiva è la creazione di un ordine ed un equilibrio nuovo dobbiamo avere la forza ed il coraggio di realizzarlo con strumenti di pace e non andando incontro a conflitti dalle conseguenze inimmaginabili.
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Abbiamo avuto il permesso dell’autrice alla pubblicazione del suo intervento svolto in qualità di Presidente dell’Associazione Italia-USA il 10 settembre al XXV Economic Forum.
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::autore_::di Barbara Contini::/autore_:: ::cck::758::/cck::