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Continuiamo ad assistere con comprensibile attenzione all’evoluzione del dibattito-confronto sulle riforme istituzionali, con il corollario delle posizioni di ogni forza politica, ma è palpabile la sensazione di qualcosa che non quadra e non coincide con quello che dovrebbe essere il fine di questo percorso
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Continuiamo ad assistere con comprensibile attenzione all’evoluzione del dibattito-confronto sulle riforme istituzionali, con il corollario delle posizioni di ogni forza politica, ma è palpabile la sensazione di qualcosa che non quadra e non coincide con quello che dovrebbe essere il fine di questo percorso: la costruzione di un sistema di governo del paese capace di far si ché la legislazione abbia un concreto modo di esplicarsi nella vita quotidiana e non appaia al cittadino come qualcosa d’altro, che viene deciso chissà dove e che poi si vorrebbe applicare sulla sua pelle, spesso incuranti delle esigenze reali e delle domande alle quali occorre dare risposta.
E’ una sensazione che coglie se si guarda al modo nel quale ogni forza politica si pone. Sembra di assistere ad una sorta di libera uscita delle idee e delle posizioni. Una settimana prima si dice sì ad una modifica, una settimana dopo si lanciano accuse per quella stessa modifica attribuendola all’avversario come un espediente per far fallire tutto. Ci sono poi i produttori di emendamenti a comando che con l’impiego di appositi software, moltiplicano all’infinito le possibile variazioni dei testi legislativi senza un effettivo contatto con il tema al centro della contesa. Così si passano giorni interi, settimane a dibattere con durezza, lanciandosi anatemi per il contenuto di un comma o di un altro dal quale sembra dipendere l’esito complessivo della riforma, il suo avanzamento o il suo fallimento.
E’ difficile anche capire esattamente che cosa ognuno vuole esattamente. Chi ha sostenuto da sempre un’evoluzione maggioritaria ora si schiera a favore del proporzionale e viceversa. Chi voleva modificare il bicameralismo perfetto ora sembra affascinato dal suo mantenimento, pur con modifiche o lifting. Chi ha ottenuto consenso e visibilità per cambiare ora vuole distruggere e chi voleva distruggere ora si schiera a favore di riforme concordate e coerenti.
Insomma nulla è come appare e tutto può modificarsi di giorno in giorno. L’unica cosa che resta chiara è l’impossibilità per gli italiani di comprendere esattamente che cosa si stia svolgendo in Parlamento.
Per chi osserva e prova a districarsi nella confusione, non sfugge che la risposta di questa fase sta tutta nel partito democratico, divenuto suo malgrado il centro del sistema e nel quale oltre alle diverse culture fondative ormai sbiadite, si è sviluppato nettamente un paradosso: chi nel passato era la sinistra e spingeva per il cambiamento anche istituzionale, per l’ammodernamento del paese (almeno così sembrava!) oggi rappresenta il più coriaceo baluardo contro ogni evoluzione. La parte moderata che era da sempre legata al sistema proporzionale e ad un’evoluzione graduale, sembra ora essere divenuta motore del cambiamento e dell’innovazione costituzionale e politica.
Insondabile quello che accade al di fuori. Il centrodestra continua la sua traversata del deserto nel tentativo destinato al fallimento di conciliare l’inconciliabile: Forza Italia e la Lega, Berlusconi e Salvini. Sono inesorabilmente in competizione sul piano elettorale con i leghisti in accelerazione con un segno tra il governativo possibile e l’antisistema di sempre, e il partito dell’ex cavaliere ormai più che altro una federazione di colonnelli ai quali interessa soprattutto il mantenimento dell’esistente, nella consapevolezza che Berlusconi resta la bandiera ma che non ha più la capacità di portare alla vittoria. Il duello con il leader leghista che non accetterà mai subordinazioni è destinato a sfociare nel nulla, al massimo in un’alleanza elettorale tanto confusa da ricordare il cavaliere prima maniera, ma senza la spinta ideale e di rivoluzione liberale che la animava.
Esiste poi una variegata area di centro con l’Ncd alfaniano, spezzoni di Forza Italia fuoriusciti, ex dell’Udc ormai imploso e una pletora di gruppi o movimenti che rappresentano però soltanto se stessi.
C’è poi il movimento di Grillo e Casaleggio, ancora forte nelle urne ma che nei primi tentativi di creare un gruppo dirigente perde tutto il suo afflato “mistico” delle origini fatte di fideistica visione e di azione contro tutto e contro tutti. Il contatto con la realtà lo sta modificando e non si sa ancora per dove.
In tutto questo, nei prossimi giorni, se il governo avrà come sembra la maggioranza, si procederà nella creazione del nuovo Senato come tassello centrale dell’evoluzione costituzionale. Per quale paese, con quali competenze e in quale collegamento con le altre realtà istituzionali, è tutto da capire. E non sarà facile. Ma almeno la morta gora delle riforme mancate si sarà messa in movimento!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::779::/cck::