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L’abbattimento dell’Airbus della compagnia russa Metrojet sui cieli della penisola del Sinai, rappresenta senza dubbio un salto di qualità della strategia jihadista in Medio Oriente.
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L’abbattimento dell’Airbus della compagnia russa Metrojet sui cieli della penisola del Sinai, rappresenta senza dubbio un salto di qualità della strategia jihadista in Medio Oriente.
Mentre sono ancora in corso le indagini sulle scatole nere del velivolo, ormai è chiaro che a far esplodere in volo l’A321 con 224 persone a bordo è stata una bomba piazzata nella stiva dagli uomini dello stato islamico. Una vendetta per l’interventismo russo nella guerra civile siriana ma anche un avvertimento alla leadership egiziana, a pochi giorni dalle elezioni farsa che hanno decretato la schiacciante vittoria del partito del presidente Al-Sisi.
L’attentato rischia di privare l’Egitto della sua risorsa economica più importante, il turismo. Un settore che da lavoro ad oltre 10 milioni di persone, cresciuto negli ultimi anni proprio grazie agli accordi stipulati dalle autorità del Cairo con i tour operator russi che hanno portato nel paese delle piramidi un consistente numero di visitatori. D’altronde bastava guardare, nelle ore successive alla tragedia, la folla dei turisti in attesa di rientrare a casa nelle hall dell’aeroporto di Sharm El Sheikh, per capire il livello d’impatto che l’attentato avrà sui flussi di visitatori russi in Egitto.
Dei centomila turisti presenti nella località turistica del Sinai al momento dell’attacco quasi due terzi erano provenienti da Mosca o da San Pietroburgo. Proprio le modalità di rimpatrio dei turisti presenti nelle località turistiche egiziane rischia di gettare ancor più fango sull’efficienza delle autorità egiziane, il cui livello d’incompetenza nella gestione dell’emergenza, sta generando grandi perplessità nei paesi occidentali sulle reali capacità di Al-Sisi di garantire l’ordine interno in questo fondamentale paese.
La strategia del pugno di ferro contro i membri della fratellanza musulmana, defenestrati dal potere con un golpe appoggiato da una parte consistente della popolazione, si sta rivelando un’operazione carica d’incognite. E’ innegabile infatti che etichettare come terroristi tutti coloro che solo quattro anni fa avevano appoggiato o votato la fratellanza musulmana, un’istituzione che da oltre un secolo ha radici nel paese, rappresenta un errore strategico gravissimo.
Non bisogna dimenticare inoltre che l’attuale leader di Al Qaeda è l’egiziano Aymam al Zawahiri e negli ultimi tempi sembra ci sia stata una saldatura tra l’organizzazione fondata da Osama Bin Laden con gli uomini dello stato islamico, un’alleanza che rischia di portare il suo carico di terrore in tutto il paese. I prodromi di una guerra civile d’altronde si sono già ampiamente manifestati proprio nella penisola del Sinai, teatro di una serie di sanguinose battaglie tra gli uomini dell’esercito e le tribù di beduini che abitano queste zone desertiche dall’immenso valore strategico.
Obiettivo dei ribelli islamisti non è solo il turismo europeo diretto nelle località costiere del paese ma anche il faraonico progetto d’ampliamento del canale di Suez che ha recentemente raddoppiato le sue capacità di transito per le grandi navi che fanno la spola tra i porti del medio-oriente ed il mediterraneo. Se i terroristi riusciranno a colpire anche questa fondamentale arteria di comunicazione, l’Egitto di Al-Sisi subirà un colpo destinato a segnare profondamente tutti gli equilibri regionali.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::877::/cck::