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Le ricette che hanno fatto la storia d’Italia

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Sere fa ho avuto il piacere di cenare con un ottimo commensale, Antonio Fragale, nutrizionista, ma anche ottimo degustatore di piatti e conoscitore di tante curiosità e storie della nostra cucina.

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Sere fa ho avuto il piacere di cenare con un ottimo commensale, Antonio Fragale, nutrizionista, ma anche ottimo degustatore di piatti e conoscitore di tante curiosità e storie della nostra cucina. Ho riportato nel mio notes alcune curiosità, ascoltate quella sera, utili quando si va al ristorante e si vuol fare bella figura sulle storie dei piatti.
Qui riporto, per questioni di spazio, solo alcuni dei numerosi racconti dell’amico Fragale, che da buon siciliano ha iniziato il suo itinerario gastronomico dalla pasta alla Norma, un classico della cucina dell’isola.
Il nome nasce dall’entusiasmo che il grande commediografo catanese, Nino Martoglio, ebbe, alla fine dell’ottocento, gustando questa ricetta, tanto da darle il nome dell’eroina dell’opera più rappresentativa del suo celebre concittadino, Vincenzo Bellini, chiamandola appunto Norma ed accostando così spaghetti, ricotta, salsa di pomodoro, melanzane fritte e basilico al mondo della lirica.
Rimanendo nel Sud ed espressamente a Napoli, la più famosa ed ormai classica pizza, quella Margherita, nasce nel 1889 quando il celebre pizzaiolo Raffaele Esposito volle creare una pizza in onore della regina Margherita, in visita proprio in quei giorni nella città partenopea, usando i colori della bandiera italiana, il bianco dell’impasto, il rosso del pomodoro e il verde del basilico.
Il successo fu enorme e la stessa regina volle assaggiare questo piatto acconsentendo che portasse il suo nome.
Saliamo lungo lo Stivale e arriviamo a Roma, con la tipica pasta alla carbonara piatto semplicissimo nei suoi ingredienti, ma difficile a farla veramente buona.
Il suo nome è collegato alla presenza massiccia del pepe nero macinato di fresco per annerire, secondo la tradizione, la pasta al punto da farla sembrare ricoperta da polvere di carbone.
Altre ipotesi riferiscono che sarebbe l’evoluzione di un antico piatto laziale chiamato “cacio e ova” a base di formaggio e uova, tipico proprio dei carbonari quando andavano nei boschi a fare il carbone.
Ma la vera consacrazione della carbonara risale alla fine della seconda guerra mondiale quando i soldati americani facevano aggiungere il guanciale, da loro scambiato per il bacon al quale erano soliti abbinare alle uova, un ingrediente che fece il successo internazionale di questa ricetta. Insomma, la carbonara sarà pure un piatto tipico romano, ma, aggiungiamo noi, anche un po’ a “Stelle e strisce”.
Ancora nel Lazio, ma un po’ in tutta l’Italia centrale, troviamo le bruschette, ormai un classico al ristornate in attesa del primo.
La prima prova scritta di una ricetta che ricorda molto da vicino l’odierna bruschetta, risale al XVI secolo ed è contenuta nel libro “La Singolar Dottrina” del fiorentino Domenico Romoli, direttore, diremo oggi, di banchetti.
 Fu un personaggio assai richiesto dalle più importanti corti d’Europa, tra cui quella di Papa Medici, Leone X, suo grande estimatore.
Il Romoli era chiamato all’epoca “Pane unto” a causa di una delle ricette contenute nella sua arte gastronomica a base appunto di pane e olio. Si faceva ben abbrustolire delle fette di pane e poi le si condiva con del lardo o con del formaggio fresco, presentandole, unte come nell’odierna bruschetta.
Rimanendo in pieno Rinascimento, ricordiamo le gustose “tagliatelle alla Lucrezia Borgia” ispirate dai biondi capelli della figlia di papa Alessandro VI. Fu un cuoco della corte estense, di cui abbiamo anche il nome, Cristoforo da Messisburgo ad inventare questo piatto dove al giallo della pasta si univa il rosso della carne per il sugo.
Il battesimo di questa pasta all’uovo (da non confondere con le fettuccine, ndr) fu in onore della giovane Lucrezia, sposa di Alfonso I d’Este, appena giunta alla corte di Ferrara nel 1502.
Dello stesso periodo abbiamo in Veneto i “Risi e Bisi”, cioè riso con i piselli, considerati quest’ultimi un legume assai squisito, tanto che, in occasione della festa di San Marco, i personaggi più illustri di Venezia lo offrivano al Doge e ai membri del governo piatto. Nell’800, invece, il grido “Risi e bisi e fragole”, bianco, verde e rosso, come il tricolore italiano, era l’equivalente veneziano del “Viva Verdi” gridato a Milano contro gli occupanti Austriaci.
Più recente una tradizionale ricetta, questa volta si tratta di un dolce, che perdura tutt’oggi; immancabile in ogni ristorante alla fine del pasto: il Tiramisù.
Un dolce che vede la luce durante la visita che Cosimo III de Medici a Siena nella fine del XVII secolo.
I pasticceri senesi, per questa importante occasione, trasformarono un loro tipico dolce chiamato “Zuppa del duca”, in un dolce importante e gustoso ma allo stesso tempo preparato con ingredienti semplici e, cosa rilevante, doveva essere assai goloso dato che Cosimo amava totalmente i dolci. Solo qualche tempo dopo venne aggiunto il caffè, bevanda carissima e rara in quel tempo, diventando così un dolce eccellente ed anche afrodisiaco perché, grazie ai suoi ingredienti assai calorici, dava vigore al corpo e allo spirito e da questo nasce il nome Tiramisù.
Per onestà di campanile, anche in Veneto troviamo una sua versione quasi simile e si ritiene che il Tiramisù sia stato inventato nel ristorante “el Toulà” di Treviso situato all’epoca nei pressi di una casa chiusa e servito appunto per “Tirare su”.
In fine, per concludere, questo viaggio tra le ricette famose, ma credetemi, l’elenco è veramente molto lunghissimo, non possiamo dimenticare un altro piatto ormai celebre in tutto il mondo, grazie alla creatività del grande cuoco veneziano, Giuseppe Cipriani, inventore, tra l’altro, del celebre cocktail Bellini.
Parliamo del Carpaccio, carne cruda di contro filetto tagliata finissima e con olio e scaglie di Parmigiano, almeno nella ricetta originale, anche se oggi abbiamo il Carpaccio di molte altre carni, compreso il pesce. Ancora oggi rimane uno dei piatti freddi più semplici e appetitosi nella storia recente della nostra cucina, nata intorno agli inizi degli anni’60 del secolo scorso, quando Cipriani, per accontentare quella ricca clientela del suo Harry’bar, che non amava la carne cotta.
Il nome si rifà al pittore rinascimentale veneziano Vittore Carpaccio, che usava una tonalità di rosso nei suoi quadri simile a quello della carne utilizzata per la ricetta di Cipriani.
Alla fine della conversazione, il nostro Fragale si è esibito, non trovo altro vocabolo, in un piatto eccezionale a base spaghetti e pesce di sua invenzione, ma, nonostante sia un divulgatore di ricette, la sua è rimasta assolutamente segreta, con grande frustrazione di tutti i presenti.

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::autore_::di Amedeo Feliciani::/autore_:: ::cck::904::/cck::

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