La parola

Consulta

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Il termine consulta, nel corso dei secoli e della storia ha assunto diversi significati e indicato istituzioni di varia natura e competenze.

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Il termine consulta, nel corso dei secoli e della storia ha assunto diversi significati e indicato istituzioni di varia natura e competenze. E’ termine storico che deriva dal latino consulere che indica l’atto del consultare, del consultarsi. In sostanza l’approfondire criticamente atti, valori, porre a confronto diverse posizioni.
Nel nostro sistema istituzionale con la parola consulta si indica quell’organo che è in realtà più propriamente la Corte costituzionale, organo di garanzia cui è demandato il compito di giudicare la legittimità degli atti dello Stato e delle Regioni, dirimere eventuali conflitti di attribuzione tra i poteri di dette istituzioni e tra le Regioni stesse, ed esprimersi su eventuali atti di accusa nei confronti del presidente della Repubblica.
Prevista già nel dettato costituzionale del 1948 all’articolo 134, trovò attuazione solo nel 1955 a seguito della legge costituzionale 1/1953 e della legge ordinaria 87/1953 e tenne la sua prima udienza nel 1956. La sua sede è a Roma, al palazzo della Consulta, da cui si attribuisce alla Corte l’informale nome, per metonimia, di Consulta.
E’ una delle istituzioni fondamentali nella divisione dei poteri democratici, tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Ed è il luogo in cui si decide la compatibilità tra le leggi e i valori della Costituzione.
Ecco perché colpisce quanto sta accadendo ormai da tempo nel nostro paese, dove in un silenzio che diviene sempre più assordante, si sta consumando un vero e proprio delitto istituzionale che tocca una delle architravi e dei pesi e contrappesi del nostro sistema: la Corte Costituzionale appunto.
Da un tempo troppo lungo, troppo in ogni senso, la Consulta non è al suo plenum di giudici provenienti per un terzo dalla magistratura, per un terzo di nomina del Quirinale e per il restante dal Parlamento. La frazione mancante è proprio quest’ultima e l’assenza di una decisione condivisa sulla nomina dei più alti magistrati della Repubblica, i giudici delle leggi come insegna il diritto costituzionale, se rappresenta da un lato la frammentazione etica e politica delle Camere, in questa triste stagione del Paese, dall’altro manifesta un elemento ancor più grave, l’assoluta carenza di senso dello Stato e delle sue Istituzioni da parte di quelli che dovrebbero essere i rappresentanti del popolo. La paralisi delle assemblee legislative poi non deriva da difficoltà sui nomi, tanti ve ne sono e di alto valore ancora, ma dalle divisioni trasversali, dalle ripicche e dagli scontri su ogni passo della vita parlamentare.
Qualche anno fa si discettava e si sentenziava in negativo sulle scelte dell’ex cavaliere e si sosteneva che voleva “occupare” anche la Consulta con uomini a lui vicini. Quattro anni dopo la sua defenestrazione in salsa europea, i problemi restano gli stessi. Finito il riflesso antiberlusconiano, dunque, resta l’incapacità di essere normali. Quello che allora era un modo per contrastare il signore di Arcore, oggi dimostra il pantano etico nel quale è sprofondata la politica. E sì, perché per scegliere i supremi magistrati è necessario che via sia la più ampia condivisione tra maggioranza/e e opposizione/i. Solo così, secondo la prassi e la legge, è possibile affidare l’altissimo compito a personalità che sappiano esaltare il ruolo della politica nella decisione sulle leggi, nei conflitti di attribuzione e nelle fondamentali funzioni della Corte per la stabilità e l’equilibrio della democrazia. Non riuscire in questo compito che travalica la lotta politica e partitica e deve da essa prescindere, manifesta se ve ne fosse bisogno il baratro nel quale ancora si trova il sistema all’indomani della fine della prima repubblica e nella conclusione convulsa di una seconda mai nata, e mentre si è tentato di legiferare anche sulla Carta fondamentale sull’onda delle inchieste giudiziarie e della rabbia popolare. In queste condizioni, la nostra democrazia resta azzoppata e non può certo compiere i passi che sono necessari per la crescita civile di tutti noi. Una colpa, il ritardo, che rischia di trasformasi in un vero e proprio crimine istituzionale in tempi difficili come quelli nei quali viviamo.
Il prossimo appuntamento è il 14 dicembre prossimo. Vedremo se questa autentica vergogna sarà eliminata e ricostituito l’equilibrio che serve alle istituzioni del Paese.

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::956::/cck::

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