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Energia e clima unite per la Terra

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Come in una nemesi storica, l’inizio dell’Europa unita nacque per il fabbisogno energetico per un continente che usciva stremato dal secondo conflitto mondiale…

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Come in una nemesi storica, l’inizio dell’Europa unita nacque per il fabbisogno energetico per un continente che usciva stremato dal secondo conflitto mondiale, con i famosi accordi di Parigi nel 1951, per mettere in comune le produzioni di carbone e acciaio (CECA) tra sei paesi: il Belgio, la Francia, la Germania Occidentale, il Lussemburgo, l’Olanda e l’Italia.
Oggi, a distanza di 65 anni, è ancora l’energia il fattore di unione tra gli ormai 28 stati membri della Unione.
A ribadire questo giudizio è stata la recente visita a Roma, avvenuta lo scorso 3 e 4 dicembre, del vice presidente Maroš Šefčovič della Commissione europea e commissario europeo per l’unione energetica.
Per comprendere meglio la situazione, diamo uno sguardo ai dati del fabbisogno energetico.
Si prevede che per il 2030 la richiestamondiale di energiasaràoltre l’1,8% e l’impatto della crescita economica e demografica del 3,1% e dell’1% l’anno di media, ma tutto questo sarà  attenuato, per fortuna, da una riduzione dell’intensità energetica pari all’1,2% dovuta all’effetto combinato dei mutamenti in campo economico, del progresso tecnologico e non ultimo dell’aumento dei prezzi energetici.
La visita del rappresentate europeo si colloca in un momento particolare per la salute della terra; a Parigi sono riuniti i capi dei cinque continenti, il Cop21, per cercare una soluzione al cambiamento del clima che fra poco da allarme potrebbe diventare emergenza molto concreta per l’umanità e proprio l’energia con il suo uso e la sua estrazione sono elementi largamente influenti, come il gas metano, certamente il meno inquinante per l’ ecosistema.
Proprio per questo le rotte del Nord che portano metano saranno ancora fondamentali per l’Europa, non solo per l’economia, ma anche per quanto riguarda l’attuale geopolitica. Tuttavia è, in questo scenario, che il Mediterraneo può portare, è stato sottolineato dal Commissario Europeo, notevoli impulsi sia ai trasporti di questo gas e sia alla diversificazione di rifornimenti energetici nel nostro continente grazie all’Italia e ai suoi contatti nell’area con una posizione geografica invidiabile che ha saputo costruire nel tempo nuove tecnologie e importanti capacità imprenditoriali, vere eccellenze, nonostante la nostra burocrazia.
Alle domande sulle nuove politiche energetiche europee, soprattutto per quanto riguarda il nucleare, il vice presidente Šefčovič ha risposto che: “l’energia nucleare è importante nell’Energy mix dell’Unione europea” – quindi, ha aggiunto- “penso che lasceremo agli Stati membri la scelta se proseguire ad usarla o meno“, ricordando che “ci sono 11 Paesi che non intendono abbandonare l’atomo come fonte di approvvigionamento energetico”.  “Il nostro ruolo – ha chiarito – è di assicurare che vengano garantiti i massimi livelli di sicurezza ed è quello che stiamo facendo”.
Affrontando poi il tema dei trasporti, ha definito il settore destinato alla “grande sfida della de-carbonizzazione” tanto che la prossima estate verrà presentato un documento strategico per promuovere sistemi intelligenti e cooperativi per la mobilità.
Dal momento che “la congestione del traffico costa un punto percentuale del Pil europeo all’anno”, Šefčovič ha ribadito che bisognerà esplorare tutte le soluzioni, e “la piattaforma Uber può essere un sistema, come ve ne sono altri in Francia e in diversi Paesi”.
Infine, ad una nostra domanda, se l’Unione europea prevede un finanziamento ai Paesi poveri o quelli in via di sviluppo per aiutarli a ridurre le emissioni di Co2, Šefčovič ha risposto che: “A Parigi dobbiamo negoziare e creare una sponda globale. Abbiamo stilato un’agenda per questo e stiamo facendo progressi che, a differenza di Kyoto, dove erano presenti 35 paesi, oggi siamo 125. Un risultato buono, ma non basta. Bisogna lavorare per il futuro, il riscaldamento ha bisogno di un nuovo approccio più incisivo. Per il 2020 abbiamo stanziato oltre 100 miliardi – ha aggiunto – avviati in paesi in via di sviluppo per modificare il gas serra. alcuni paesi abbiamo fatto le nostra valutazioni. Oggi non sono più solo le grandi strutture internazionali, ma anche banche e privati a scommettere su questa nuova economia in questi paesi aprendo nuove possibilità allo sviluppo economico molto importanti per tutti noi”.
Insomma, ancora c’è molto da fare, ma qualche barlume di speranza si comincia ad intravedere e non è poco.

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::autore_::di Fabrizio Cerami::/autore_:: ::cck::950::/cck::

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