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Clima e futuro della Terra

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Dodo: Ricostruzione e scheletro dell'animale "Oxford Dodo display" di BazzaDaRambler - Oxford University Museum of Natural History ... dodo - dead apparently.Uploaded by FunkMonk
L’essere umano è sempre dipeso e dipende tutt’ora dalla biodiversità di cui il nostro pianeta è ricco.

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L’essere umano è sempre dipeso e dipende tutt’ora dalla biodiversità di cui il nostro pianeta è ricco. Si stima che le specie che lo popolano siano intorno a tre milioni, ma considerando che circa il 95% della Terra è costituito dal mare e che non conosciamo tutte le forme di vita marine presenti, il numero potrebbe salire di molto.
Tutta questa biodiversità ci garantisce la sopravvivenza e smuove l’economia mondiale da cui ricaviamo dal cibo al legname fino alle sostanze chimiche.
Questo sfruttamento provoca purtroppo dei risultati spesso dannosi per la natura stessa, sono centinaia infatti le specie animali o vegetali che abbiamo contribuito ad estinguere; dal XVII secolo ad oggi si stima che circa il 90% delle specie si siano estinte per la caccia, per la distruzione del loro habitat o per aver introdotto specie in ecosistemi diversi.
Esempio simbolo dell’estinzione per eccellenza è il Dodo, uccello endemico delle Mauritius estintosi per il disboscamento intorno al 1662.
Se pensiamo che secondo un rapporto della FAO in dieci anni tra il 2000 e il 2010, sono stati distrutti circa 5,2 milioni di ettari di foreste per l’agricoltura, come per l’industrializzazione o per l’urbanizzazione, abbiamo un quadro piuttosto negativo di quello che “costiamo” alla Terra e gli effetti sono su scala mondiale.
Se è vero che gli alberi sono i polmoni del nostro pianeta, il disboscamento è un po’ come ridurre i nostri “polmoni” a dei polmoni da fumatore.
Col disboscamento si possono creare delle reazioni a catena come l’aumento di gas nocivi per gli esseri viventi, l’aumento di gas serra, mutamenti climatici causati dall’intervento umano, l’innalzamento delle temperature e conseguentemente lo scioglimento dei ghiacciai.
I recenti stravolgimenti climatici e le varie ricerche su tasso d’inquinamento e il riscaldamento globale, pare ci abbiano fatto avere una presa di coscienza tale da farci riflettere a trovare una soluzione per salvaguardare l’ecosistema.
Dagli anni ’90 in poi si è cercata una soluzione per ridurre il tasso d’inquinamento e per evitare disastri ambientali. Nel 1992 a Rio, con la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) ratificata da 195 Paesi, è stato costituito un potente strumento di collaborazione per evitare l’aumento della temperatura globale.
Impegno proseguito anni dopo, nel 1997 con il successivo Protocollo di Kyoto, in cui le nazioni si impegnavano giuridicamente ad abbassare le emissioni.
Dato negativo è che non essendo universale, molti paesi come gli USA non hanno mai aderito, mentre altri come la Russia, Giappone e Nuova Zelanda non prendono parte al secondo periodo del protocollo di Kyoto (iniziato il 1 gennaio 2013).
Si è quindi presentata la necessità di adottare uno strumento differente che coinvolgesse tutti i paesi della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), dando vita dal 30 Novembre all’11 dicembre di quest’anno alla Conferenza di Parigi.
Qui i 195 stati si sono posti l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, di costituire dei finanziamenti per il clima e per economie ecosostenibili e aiutare quei paesi in via di sviluppo.
Oltre alle conferenze di carattere mondiale, ce ne sono state altre di più specifiche, ma che hanno svolto l’importante e forse difficile compito di sensibilizzazione, come quella tenutasi il 25 novembre a Montecitorio organizzata dalla Onlus I Sud del Mondo in cui si è affrontato il problema delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle smart city, in Italia, portando esempi come il comune di Andria di alcune realtà che stanno seriamente impegnandosi per ridurre al minimo l’inquinamento, creando smart citizen cioè cittadini consapevoli, più attenti e rispettosi del proprio pianeta.
C’è da augurarsi che questa consapevolezza crei dei risultati quanto prima, almeno per le generazioni future, a cui stiamo lasciando un futuro difficile e un pianeta malandato.

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::autore_::di Gianfranco Cannarozzo::/autore_:: ::cck::975::/cck::

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