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La crisi che attanaglia l’Europa, quella intesa come unione dei 28 Paesi, è certamente una crisi non solo leadership, ma, peggio, d’identità.
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La crisi che attanaglia l’Europa, quella intesa come unione dei 28 Paesi, è certamente una crisi non solo leadership, ma, peggio, d’identità.
Che cos’è infatti oggi l’Europa?
Un assemblaggio di banche, di finanza spericolata, di leggi sempre più sclerotiche che burocratizzano ogni centimetro quadrato della vita dei cittadini del vecchio continente.
Una situazione che sta diventando insopportabile e che apre a movimenti impensabili solo fino a pochissimi anni fa come: i 5 Stelle in Italia, Podemos in Spagna, Tsipras in Grecia e l’ascesa del Fronte Nazionale francese, senza contare i governi dell’Est europeo primi tra tutti Ungheria e Polonia.
Insomma, una vera bella unione europea.
La Gran Bretagna, da sempre ostile alla politica continentale, sta riscoprendo da qualche anno la sua origine insulare.
Ricordiamo che recentemente è stato indetto un referendum per l’indipendenza della Scozia, perso da quest’ultima, ma pur sempre un segnale da non sottovalutare, e, per finire, il cosiddetto Brexit, altro referendum indetto questa volta per l’uscita definitiva del Regno di sua Maestà, dopo oltre quarant’anni, dalla Ue.
Ora, dopo tante proteste interne, il governo inglese si accorge che ci sono troppo immigrati provenienti anche dalla stessa Europa e non è più sopportabile una spesa esponenziale per offrire il welfare a tutti indistintamente come è stato fino ad oggi.
“Abbiamo bisogno di ridurre il numero delle persone che vengono qui – scrive il primo ministro Cameron al presidente del Consiglio europeo Donal Turk – Possiamo ridurre il flusso di persone in arrivo dall’interno della Ue, riducendo l’attrattiva che il nostro sistema di welfare esercita ovunque in Europa“.
Suggerisce ancora Cameron: “Le persone che vengono in Gran Bretagna dalla Ue devono vivere qui e versare i contributi per quattro anni prima di potersi qualificare per assegni sociali sul lavoro o sull’abitazione“.
Questa proposta interessa anche i circa 200 mila italiani attualmente residenti e lavoratori un po’ in tutta l’Isola che, se fosse approvata la legge, si troverebbero di colpo senza alcuna assistenza sanitaria o previdenziale.
Gli italiani che negli ultimi quattro anni hanno preso il National Insurance Number, l’equivalente britannico del codice fiscale per lavorare, sono 165 mila, ma solo nel giugno 2012 ne erano già arrivati 26 mila e da allora stanno crescendo in maniera molto sostenuta fino a giungere quest’anno a 65 mila presenze pari ad un 67% in più in poco meno di un anno.
L’Italia è ormai il terzo Paese di immigrazione in Gran Bretagna, prima troviamo la Romania e la Polonia e, visto il continuo afflusso, fra poco, se dovesse passare la proposta Cameron, sarebbero privati del welfare un numero assai numeroso di europei, senza contare gli extra comunitari, con tutto quello che questo può comportare a livello di politica europea compresa quella italiana.
Nonostante che dal bilancio sui dati del Dipartimento del Lavoro di Londra si scopre che i migranti italiani hanno quasi tutti un’occupazione che contribuiscono con i loro versamenti al sistema sociale e a pagare le pensioni agli stessi inglesi, con una tale legge metterebbe in ginocchio di riflesso anche il mondo contributivo inglese.
A fronte di queste scelte che possono sembrare anche ingiuste, ricordiamo, per onestà di cronaca, che il sistema dei sussidi sociali è ormai troppo esponenziale e di conseguenza dannoso.
Lo Stato infatti interviene anche per aiutare un teenager che abbia un figlio e non abbia reddito, cosa che succede a moltissimi ormai, intervenendo completamente sulle spese per la casa o di disoccupazione creando però in questo modo, è l’accusa da molti esponenti dell’opinione pubblica, una pericolosa deresponsabilizzazione del ragazzo che non è certo incentivato a trovare una vera occupazione. Lo stesso vale per le cure mediche e di assistenza in genere.
Dopodomani inizia il nuovo 2016, ma ciò che ci aspetta in Europa tra crisi economica, nuovi nazionalismi, speculazioni finanziare, disoccupazione e, tanto per cambiare, il terrorismo, potremo augurarci come nel titolo di un famoso libro degli anni ’90, “Io, speriamo che me la cavo“.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::988::/cck::