La parola

Diritto

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E’ una delle parole che con maggior frequenza si presentano nel parlare quotidiano. Quasi un intercalare.

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E’ una delle parole che con maggior frequenza si presentano nel parlare quotidiano. Quasi un intercalare. Ho il diritto di …, rivendico il diritto di …., basta applicare il diritto di …., c’è diritto e diritto, tutti parlano di diritti e via dicendo. In queste settimane, nel nostro paese si dibatte di diritti civili legati alle unioni civili, cioè differenti dal matrimonio. In sostanza non esiste ambito o momento nel quale in qualche modo il diritto entra in gioco.
La parola viene dal latino directus, che indica il dirigere. Tra i significati più immediati il procedere secondo una linea retta o, quando si tratti di una figura piana o solida a corpo allungato, che ha per asse una linea retta; quindi, in genere, che non piega né da una parte né dall’altra. Riferito alle persone vuole significare giusto, onesto (più comunemente retto). Ma si dice anche destro, riferito alla mano e anche di altre cose che siano dalla parte destra.
Diritto indica anche laparte diritta, intesa per lo più come la parte davanti di una superficie, o anche talora il lato giusto, sempre in contrapposizione a rovescio. Se parliamo di sport nel tennis è il tiro effettuato colpendo decisamente la palla dopo aver portato la racchetta il più all’indietro possibile e averle fatto disegnare nell’aria una curva ellittica dall’alto verso il basso.
Il senso più proprio è tuttavia quello che si immagina senza troppi discorsi. Per diritto si intende qualcosa di giusto, retto, così come la via che si imbocca è retta, diritta. Basti ricordare il verso “che la diritta via era smarrita” che apre la Divina Commedia.
E però nel diritto inteso come complesso ordinato di norme che prescrivono o vietano determinati atti e comportamenti in una società, che nelle moderne società si coglie il valore fondante di certi comportamenti umani indotti appunto da regole, norme e così via. Di forme di diritti ne esistono praticamente infinite, quante sono le declinazioni dell’agire umano. Si ha così sin dall’antichità il diritto pubblico e quello privato, il diritto costituzionale, il civile, il penale, l’amministrativo. Ancora, diritto canonico o ecclesiastico; commerciale; comunitario; del lavoro; di famiglia; fallimentare; finanziario; industriale; internazionale; matrimoniale; processuale; tributario.
In parole povere, il diritto ci differenzia, traccia il confine tra la civiltà, la forma associata del vivere, la sensazione di appartenenza a un complesso sociale e il suo contrario, l’inciviltà, la barbarie dell’homo homini lupus.
Il diritto e quel che ne costituisce la funzione interpretativa, la giurisprudenza, sono gli elementi con i quali si costituisce e si mantiene il sistema di regole comunemente accettate e se valuta il necessario evolvere nel mutare dei tempi, dei costumi, che nei diritti devono poi trovare espressione compiuta, chiara ed esauriente.

Il dibattito che si sta svolgendo in queste settimane, ma che a livello carsico va avanti da molti anni, sui diritti civili e in particolare quelli tra persone dello stesso sesso, costituisce proprio una di quelle faglie che la dinamica sociale pone in essere e alla quale occorre dare risposta per arginarne impropri scenari. I tempi cambiano certamente, i valori subiscono evoluzioni, alcuni principi però devono restare tali pena la stabilità del sistema. A meno che non si decida una modifica, meglio sarebbe una “mutazione genetica” delle basi stesse del nostro vivere. Senza entrare in alcuna valutazione etica o interpretazione di natura evolutiva e sociale, appare evidente che il confronto in atto in parlamento su alcune proposte legislativa nel tema appunto dei diritti civili, vada ad impattare proprio su quel sistema di equilibrio creato dalle norme costituzionali che fanno da cornice necessaria alla legislazione.
Che ogni persona abbia diritto, senza discriminazioni di alcuna natura a vedersi riconosciuti i propri diritti è certamente valore assoluto, al tempo stesso però occorre evitare di creare le condizioni per cui vi possa essere qualche novella legislativa che introduca un valore “più” assoluto di altri. Le norme sulle quali si basa la nostra forma di convivenza sono indicate nella Costituzione e nelle leggi così come i nostri diritti appunto costituzionali prima ancora che giuridici in senso proprio.
Ora lo schema che la nostra carta ha fatto proprio si basa su alcuni elementi fondanti della comunità e della famiglia quali la cultura, la storia, l’evoluzione hanno prodotto. Perfettibili certo ma che non possono essere stravolti se non in un improbabile e non auspicabile scenario costituente. In parole più semplici, se da un lato è opportuno, necessario, civile, codificare le forme di convivenza che non sono matrimonio secondo i canoni attuali, è altrettanto evidente che non è necessario arrivare a parificare cose che pari non sono. Ancora è auspicabile certo che alcuni rapporti consolidati anche non convenzionali possano avere garanzie soprattutto sul fronte della eventuale trasmissione ereditaria, ma non per questo è utile creare confusione sull’istituto matrimoniale in quanto tale. Non è riuscendo ad equiparare nelle parole le unioni di diversa natura che si risolvono questioni epocali che per le convivenze tra uomo e donna, ancora non hanno trovato soluzione dopo decenni! Un po’ di equilibrio non guasterebbe. Riuscendo a dare senso compiuto a questa ultima fattispecie si è poi certamente in grado di avere una visione di insieme per quanto altro la scelta delle persone può proporre.
E poi, siamo certi che il matrimonio così come tradizionalmente inteso sia poi così attrattivo da estenderne il nome a forme di unioni differenti? Non è forse il caso di occuparsi della sostanza e non della forma?

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1044::/cck::

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