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Dall’epoca del famoso film di Luchino Visconti, “Il Gattopardo”, il nome di Donnafugata è rimasto nella memoria di tutti.
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Dall’epoca del famoso film di Luchino Visconti, “Il Gattopardo”, il nome di Donnafugata è rimasto nella memoria di tutti. In realtà il regista non girò alcuna scena nel castello, residenza estiva dei Principi Tomasi di Lampedusa, ma preferì ricostruire i saloni in studi cinematografici.
In verità tutta la location si riduce al castello che è poi solo una ricca dimora di 2500mq., con un’ampia facciata neogotica, limitata da due torri laterali. Le sue 120 stanze sono distribuite su tre piani, ma solo 20 sono oggi fruibili, a disposizione dei visitatori. Ogni stanza si diversifica dall’altra a seconda dell’uso cui era destinata: la stanza dei blasoni, in cui sono ancora esposti tutti gli stemmi delle nobili famiglie siciliane; il salone degli specchi, decorato con pregevoli stucchi; la stanza della musica, sulle cui pareti spiccano magnifici dipinti trompe-l’oeil; la pinacoteca con i suoi quadri neoclassici. Importante era soprattutto l’appartamento del vescovo, riservato al prelato, membro della famiglia Arezzo, una dei molti proprietari che successero alla guida del palazzo, prima che il Comune di Ragusa lo acquistasse e lo ristrutturasse parzialmente.
Sembra che il nome “Donnafugata” derivi dalla fuga della Regina Bianca di Navarra, rimasta vedova, la cui mano, ma soprattutto il titolo, era ambito da Bernardo Cabrera. Al rifiuto della nobildonna, questo la fece rinchiudere nel castello da cui poi lei riuscì a fuggire. In realtà altri, più verosimilmente, fanno derivare il nome dall’arabo ‘Ayn al-Sihhat (Fonte della Salute) che in siciliano diventa Ronnafugata da cui poi Donnafugata.
Il palazzo è circondato da 8 ettari di parco dove crescono circa 1500 specie di vegetali. In questo angolo di paradiso, il barone Corrado Arezzo, eclettico uomo politico, per intrattenere i suoi ospiti, affinché non si annoiassero, aveva fatto costruire una elegante caffè-house, alla quale siarrivava mediante un viale alberato che, partendo dalla gradinata del palazzo, rendeva la passeggiata molto gradevole; erano stati edificati anche un tempietto circolare, delle grotte artificiali (dal cui soffitto pendevano finte stalattiti), ma, soprattutto un labirinto trapezoidale in pietra bianca ragusana che – si dice – il barone avesse visto vicino a Londra, durante uno dei suoi viaggi. Lungo i muri di questo intricato intreccio di vialetti, erano state piantate delle rose rampicanti che impedivano agli ospiti di scavalcarli. Il barone aveva anche pensato di far costruire degli scherzi che movimentassero particolarmente il soggiorno degli amici e, nel parco, era collocato un ampio sedile che azionava un impianto irrigatore quando qualcuno si fosse seduto; in fondo al giardino c’era una cappellina, nella quale, aprendo la porta, appariva un monaco di pezza che spaventava terribilmente le vittime impreparate. Qua e là per il parco erano disseminate anche alcune tombe, dalle quali sembrava uscissero dei cadaveri. Questo metteva in fuga le giovani donzelle che andavano a rifugiarsi tra le braccia del barone. Purtroppo tutti questi intrattenimenti oggi non sono funzionanti, ma il Comune di Ragusa si è prefisso di riattivarli appena possibile.
La prestigiosa dimora è inserita nella lista delle “Case della Memoria” per ricordare gli illustri personaggi che la abitarono, ma, soprattutto per ricordare un’epoca che vale la pena di essere ricordata.
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::autore_::di Luisanna Tuti::/autore_:: ::cck::1053::/cck::