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Mentre a Ginevra, tra mille difficoltà, i gruppi d’opposizione ed i rappresentanti del regime siriano stanno cercano una via d’uscita alla guerra che insanguina il paese da quasi cinque anni, l’attentato compiuto domenica nella zona sud di Damasco dagli uomini dell’IS, rischia di sabotare ogni processo di pacificazione.
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Mentre a Ginevra, tra mille difficoltà, i gruppi d’opposizione ed i rappresentanti del regime siriano stanno cercano una via d’uscita alla guerra che insanguina il paese da quasi cinque anni, l’attentato compiuto domenica nella zona sud di Damasco dagli uomini dell’IS, rischia di sabotare ogni processo di pacificazione.
Tre esplosioni hanno devastato l’area circostante il santuario sciita di Sayyida Zeinab, uccidendo 90 persone e ferendone centinaia. Un colpo durissimo per i sostenitori di Bashar al Assad e di tutta la comunità alauita e sciita del paese.
Il santuario custodisce le spoglie di una delle nipoti di Maometto ed è da sempre una meta di pellegrinaggio per i fedeli sciiti di tutto il Medio-Oriente. Un obiettivo altamente simbolico, colpito proprio per mettere in difficoltà i fautori di questo tentennante tentativo di dialogo tra le parti.
I colloqui di Ginevra infatti, fortemente voluti dagli Stati Uniti e dalla Russia, hanno dal loro annuncio suscitato più di una perplessità da parte di Arabia Saudita e Turchia, fortemente contrarie non solo ad incontrare i “nemici” di Damasco ma sopratutto restii a consentire ad esponenti delle formazioni ribelli avverse ai rispettivi regimi a prendere parte ai negoziati.
Nel caso di Riyad l’opposizione alla partecipazione ai colloqui ginevrini riguarda i combattenti delle formazioni laiche o di gruppi sunniti non allineanti con i diktat di casa Saud. L’Arabia Saudita da tempo ha dato ospitalità ad un comitato di opposizione siriana denominato HNC, Alto Comitato per i Negoziati, finanziato e dunque vincolato alla visione geopolitica saudita della regione.
Per quanto riguarda invece la Turchia, il veto di Ankara riguarda le formazioni combattenti curde. Per Erdogan la partecipazione ai colloqui di Ginevra di rappresentanti del PYD, il Partito dell’Unione Democratica, rischierebbe di legittimare definitivamente le istanze indipendentiste curde in una Siria post Assad, fornendo sostegno ai milioni di curdi che vivono in territorio turco.
Un rebus che avrà bisogno della massima capacità negoziale di Kerry e Lavrov, i plenipotenziari americano e russo nelle trattative, considerati i veri playmaker della ricerca di una via d’uscita al dramma della guerra civile siriana. Come dimostrano i recenti fatti di Damasco, il vero enigma di tutta la partita però sta nel livello di contenimento che si riuscirà ad esercitare sugli uomini del califfato, i quali esclusi dai colloqui svizzeri, rivendicano il loro imprescindibile ruolo, in virtù del controllo che esercitano su ampie porzioni del territorio siriano.
La strage di Damasco vuole essere un segnale a chi da Ginevra sta decidendo le sorti della Siria. Nessun tentativo di pacificazione può avere successo senza prima avere risolto il problema del califfato, in un modo o nell’altro.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1048::/cck::