La parola

Coscienza

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E’ negli stessi termini dei quali la parola si compone (da latino cum scienza, con scienza, dunque) che si scorge il valore primario e fondante del termine cha abbiamo scelto.

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E’ negli stessi termini dei quali la parola si compone (da latino cum scienza, con scienza, dunque) che si scorge il valore primario e fondante del termine cha abbiamo scelto. Immediato il riferimento alla condizione di conoscere appunto (in latino “scire”), comprendere, capire. In modo più semplice si intende per coscienza la consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività. In senso più generico, si intende anche come conoscenza: un fatto che è nella coscienza (conoscenza) di tutti, ossia che tutti conoscono. In senso negativo si dice perdere coscienza, nel senso di non essere coscienti di sé o di non avere coscienza.
Ovviamente, la parola ha valore in psicologia, dove indica la conoscenza dei proprî atti attraverso la riflessione e l’analisi degli stati psichici. In psicopatologia, si parla anche di coscienza doppia, ossia una condizione morbosa caratterizzata dall’avvicendarsi nello stesso soggetto, per una durata più o meno protratta, di due diversi stati di coscienza, in ciascuno dei quali il soggetto appare immemore dei ricordi relativi all’altro stato.
Tra i tanti, altri, possibili significati quello di consapevolezza del valore morale del proprio operato, sentimento del bene e del male che si fa; esame riflesso delle proprie azioni per poter discernere il bene e il male compiuto, e quindi riconoscere le proprie eventuali colpe. Anche come criterio supremo della moralità o, in modo più attenuato, come sensibilità morale. Si parla allora di agire secondo coscienza, venire a compromessi, avere scrupoli o rimorsi, agire per debito o per liberarsi la coscienza. Infinite le possibili declinazioni che vanno di pari passo con l’atteggiarsi e i mille risvolti dell’animo umano e del suo concreto porsi dinanzi alle persone, alle cose e via dicendo. Ricordiamo in tal senso l’obiezione di coscienza, il caso di coscienza, la libertà di coscienza. Nel linguaggio comune si delinea poi la coscienza come il luogo riposto al quale vengono riferite le nostre azioni e il giudizio su di esse, la coscienza più intima, dunque, come anche il mettersi una mano sulla coscienza per capire il senso e il peso del proprio agire.
Di qui, in qualche caso, si parla di coscienza anche come impegno, cura, senso di responsabilità, oppure probità, rettitudine, umanità, in specie nei rapporti col prossimo.
Con riferimento alla religione, ma in senso esteso anche rispetto all’adesione e i comportamenti legati a scelte consapevoli vita, si sente spesso impiegare il termine legato alla libertà, ossia al libero agire in direzione di qualcosa. Libertà di coscienza dunque come diritto di sentire e professare opinioni e fedi religiose senza alcuna restrizione, impedimento o coazione da parte dell’autorità politica e/o ecclesiastica.
In questa accezione, assistiamo in queste settimane, al dibattito parlamentare e nella società, al tema delle unioni civili (ed in esso quello più specifico delle unioni omosessuali) e con il corollario non secondario delle questioni legate alle adozioni di bambini proprio da parte di coppie dello stesso sesso, alle quali venga riconosciuto lo status simile a quello di coniugi di un matrimonio. Non entriamo nell’analisi specifica dei temi in questione, se non per ribadire che in un paese civile, non oscurantista, sia opportuno riconoscere alle persone che si legano tra loro con affetto e dedizione, una condizione legale specifica che consenta quegli atti che la convivenza porta con sé: riconoscere all’altro/a la titolarità dei propri beni in caso di morte, l’ereditarietà di diritti e così via. Come sempre, appare però singolare l’eccesso di analisi e di confronto anche aspro sul “diritto” per persone dello stesso sesso, di ottenere questi riconoscimenti, nel momento in cui ancora non è pacifico nel diritto o nella morale, molto più lo è nel sentire sociale, il rapporto tra uomo e donna fuori dei limiti del matrimonio (civile e/o religioso). Singolare dunque che per due conviventi di sesso diverso esistano ancora complessità e difficoltà mentre con la nuova legge sarebbe tutto accettato per gli omosessuali. Un equilibrio complessivo non guasterebbe per i diritti e i doveri di tutti.
Dove la questione diviene più spinosa e dove entra in gioco la libertà di coscienza è sul tema delle adozioni dei bambini. Come se sugli altri aspetti fosse tutto pacifico e condiviso, si discetta sulla opportunità per persone dello stesso sesso, di adottare i figli dell’altro/a, lasciando aperta la porta – per carenza normativa specifica che vorrebbe dire ammettere ufficialmente tutto ciò – all’adozione di figli che possano arrivare attraverso pratiche scientifiche quali inseminazione di una delle due donne componenti la coppia da parte di un terzo donatore (maschio ovviamente) o alla possibilità per due omosessuali maschi (dove la natura pone ostacoli insormontabili) di usufruire di “donatrici” di utero, il cosiddetto utero in affitto. Sia permesso osservare che il diritto alla vita dei nascituri degno comunque di rispetto, non può essere solo il frutto di scelte che la natura non consentirebbe, ma che la scienza permette.
Siamo sul limitare di questioni che attengono al senso stesso del nostro vivere in comunità, dinanzi a scelte che inevitabilmente cambiano tutto questo e che ci pongono dunque a fronte di responsabilità sociali, civili, legali di nuova natura e che vanno affrontate con grande senso della civiltà che l’uomo ha raggiunto. Ma senza rasentare l’uso strumentale della natura, in qualsiasi modo essa possa avvenire.
In questo senso la libertà di coscienza deve essere garantita – non a caso persino Grillo se ne è fatto interprete – nelle decisioni da assumere. Riconoscere i diritti civili delle coppie omosessuali non è la stessa cosa che permettere a tutti, anche single, di avere bambini al di fuori di ogni schema naturale. E questo per il benessere degli stessi bambini che si troveranno a vivere una genitorialità derivata e non originaria.
Libertà di coscienza che deve valere anche nel senso del diritto di scegliere legislativamente in modo laico. Troppe volte assistiamo, e non solo nel nostro paese, a forme di estremismo para religioso che fanno pensare ad una società confessionale dove tutto debba essere deciso in ossequio alla religione dominante. Il nostro è e deve restare un paese laico, democratico e libero, per lo stesso esercizio della libertà religiosa. Di diritti, cioè devono parlare i legislatori e in Parlamento si devono decidere le leggi dello Stato italiano, non equilibri tra stato e chiesa che vanno relegati nel loro giusto posto: nel passato e nella storia. Altrimenti poco ci dividerebbe dalla visione dell’Islam più retrivo e oscurantista con il quale ci dobbiamo confrontare. E’ il “Medioevo prossimo venturo” che va combattuto per prima cosa, nel senso di ignoranza e di intolleranza!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1074::/cck::

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