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Un viaggio onirico che sa di realtà nella segreta Cuba castrista tra vizi, dissolutezze e perversioni.
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Dopo quel viaggio in aereo meraviglioso di cui non ricordava assolutamente nulla se non che era stato bellissimo, atterrarono all’Havana e, dopo le formalità aeroportuali, arrivarono all’Hotel National di Cuba. Era questo l’albergo più importante dell’isola, costruito nel periodo di influenza americana ed era ancora oggi un vanto nell’offerta turistica cubana anche se un po’ vintage. Le camere erano belle, spaziose e tutte, anche se con i servizi dell’epoca, con una vista straordinaria sul Malecon, il lungomare spettacolare del Mar dei Caraibi.
Anita era felicissima di come si erano messe le cose di questo viaggio e non mancava di guardare a Ferdinand con occhi pieni di gratitudine ed affetto.
Si buttarono subito nella vita dell’Havana e non mancarono nessuna delle mete obbligate ai turisti che per la prima volta arrivavano sull’isola: La Boteguita del Medio, dove si beveva il miglior mojito di tutta Cuba; La Floridita, con il suo straordinario daiquiri; la Casa della Musica a Miramar, dove la Salsa non smetteva mai di far sentire la sua musica accompagnata da folle di persone che ballavano rapite dal suo ritmo incalzante. Insomma fin dal primo giorno si immergevano nelle realtà più vere dell’isola fino a quando non erano stanchi e tornavano stravolti nelle loro camere d’albergo. Questo hotel era non solo un monumento turistico, ma faceva parte della storia di Cuba. Infatti aveva la caratteristica di essere stato costruito dalla Mafia Americana dell’epoca durante il periodo americano dell’isola.
Bisogna fare un piccolo passo indietro agli anni 30-40 del secolo scorso quando la mafia aveva visto in Cuba un posto di grande potenzialità per le loro attività e ne avevano fatto un territorio di propria competenza. Infatti vi avevano investito una grande quantità di dollari costruendo alberghi, fra cui il National, Casinò e Casini. Si racconta che in tutta l’isola ne esistevano almeno 300 di ambedue i tipi e che gli affari andavano a gonfie vele. Tutti gli americani che potevano permetterselo andavano a Cuba almeno due volte all’anno per distrarsi e riprendersi dalla vita logorante degli States. Poi era venuto Fidel con la sua Rivoluzione Castrista ed aveva nazionalizzato tutte le attività, fra cui anche Casini e Casinò.
La mafia, anche con tutta la sua potenza, non poté opporsi a questa svolta epocale e cercò di salvare il salvabile, ma ci fu ben poco da fare; ormai lo spirito rivoluzionario si era impossessato di tutta la popolazione e neanche la successiva spedizione americana alla Baia dei Porci riuscì a fermare quel l’onda rivoluzionaria che ancora oggi domina sull’isola, anche se ora completamente stravolta nei suoi valori fondamentali.
Ferdinand era molto preso dalla storia di quegli eventi e non mancava occasione per parlarne, con una certa propensione nostalgica al periodo Americano-Batista, al direttore dell’albergo.
Era questi un vero cubano ma figlio di una spagnola e di un americano, quindi non un vero e proprio proletario seguace di Fidel, ma uno che si destreggiava bene nelle trame dell’isola ed era, senza però darlo a vedere, anche lui nostalgico dei vecchi tempi pre-rivoluzione.
La sua intesa con Ferdinand fu immediata, per cui gli disse: “Senti, se vuoi vedere come era Cuba prima di Castro fatti trovare nella hall alle due di questa notte”. La curiosità di Ferdinand fu superiore alle difficoltà logistiche con Anita e si fece trovare pronto all’ora ed al posto stabilito.
Il direttore Obama (sic!) lo aspettava e con fare disinvolto lo portò dietro un paravento che nascondeva una botola, sollevata la quale, lo invitò a scendere. Ferdinand era interdetto ma ubbidì. Appena sceso si trovò davanti uno scenario incredibile. Non poteva credere ai suoi occhi. Una gigantesca bisca clandestina stile anteguerra gli si apriva davanti.
Il direttore Obama, per tranquillizzare Ferdinand che iniziava ad avere delle inquietudini, gli disse: “Sai quando è scoppiata la rivoluzione la mafia non voleva perdere tutto il business che si era creato nel tempo, ed ha spostato ad un livello sotterraneo le sue attività in tutti i loro alberghi dell’isola, in maniera ovviamente illegale.
“Ma come – chiese Ferdinand – e Fidel?”
“Sai – rispose Obama – una cosa è il pubblico ed un’altra il privato, e poi la rivoluzione ha bisogno di soldi, e questa attività li rende, però ci sono delle regole precise”.
“E quali?”
“Questa” gli rispose lui puntandogli una pistola alla tempia e sparandogli un colpo improvviso. Ma non era una pistola assassina, bensì un dispositivo che gli aveva fatto penetrare nel cervello un microchip che faceva sì che, una volta ritornato fuori, non ricordasse più niente.
“Sai – gli disse il direttore – è per una misura di sicurezza imposta dal governo. Solo Fidel e la sua famiglia ne sono esenti e ti posso assicurare che sono proprio loro i più assidui frequentatori di questo posto”.
E fu così che Ferdinand poté vedere, anzi vivere, come era la Cuba di una volta. Las Vegas era niente a confronto. Spazi enormi, luci sfavillanti. Tavoli di roulettes dappertutto, croupier internazionali. Italiani per la maggior parte, tavoli di chemin e di poker dovunque. Ristoranti a vista ovunque, una sala da ballo enorme con tanto di palco per spettacoli di tutti i tipi. Aste ovunque dove donne serpenti si arrotolavano in una lap dance che dire provocante era poco. Insomma c’era tutto il meglio del meglio. Fra cui ovviamente le donne. Di tutti i tipi, bionde, brune, bianche o more, come le volevi c’erano. Bastava uno sguardo e loro ti pesavano. Non sfuggiva loro niente, quanto valevi e cosa volevi.
“Vedi Ferdinand – gli spiegava il direttore – con il microchip che ti ho installato nel cervello puoi ora giocarti fino a mille dollari, sia al tavolo da gioco che con le signorine, io te li metto sul conto domani in forma anonima, e quando stanno per finire sentirai nelle orecchie un avviso che ti dirà che il credito sta per finire e tu sarai inevitabilmente spinto a ritornartene in camera e non ricorderai nulla di questa esperienza, se non la voglia a ritornarci”.
Detto questo lo presentò a tutti i presenti e scomparve. Lui non sapeva da dove iniziare; gli sguardi di Al Capone e di Lucky Luciano dalle pareti lo osservavano severi, e lui non si sentiva ancora pronto quando una voce gli sussurrò: darling, whisky o champagne? Un profumo lo colpì alla testa violentemente; la bionda era così vicina ed il suo sorriso così dolce che le sue ultime titubanze scomparvero. E fu così che passò una serata indimenticabile, stile anni trenta in America. Passò dai tavoli da gioco ai separè riservati, ovviamente sempre in compagnia di Rosalinda la quale riuscì in una impresa difficilissima e cioè a fargli dimenticare Anita per qualche ora. Si può benissimo immaginare quali arti avesse usato e con quale maestria, per raggiungere quel risultato. Dopo non si sa quanto tempo passato più fra le braccia di Rosalinda che al tavolo della Roulette, l’allarme cominciò a suonargli in testa e lui, non sapendo come, si ritrovò di nuovo nella sua camera. Era l’alba. Fortunatamente Anita aveva il sonno profondo e dormiva alla grande. La baciò dolcemente sulla fronte cercando di capire cosa diavolo facesse ancora in piedi a quell’ora del mattino ma non riuscì a ricordare nulla ma solo a sentire intimamente che questa vacanza a Cuba era iniziata bene, continuava bene, anzi molto bene, forse ancora meglio di ogni più rosea previsione.
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::autore_::di Mario Attanasio::/autore_:: ::cck::1129::/cck::