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Bruxelles: La vita continua

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Personale di pronto intervento sulla scena dell’attentato all’esterno di una stazione della metropolitana a Bruxelles  in questo fermo-immagine tratto dal video di REUTERS/Reuters TV del 22 marzo 2016
Poco dopo le nove di mattina del 22 marzo Gaia della Rocca era già nel suo ufficio a poche centinaia di metri dalla stazione della metropolitana di Maelbeek, quando è avvenuto l’attentato che ha causato 20 morti e decine di feriti.

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Poco dopo le nove di mattina del 22 marzo Gaia della Rocca era già nel suo ufficio a poche centinaia di metri dalla stazione della metropolitana di Maelbeek, quando è avvenuto l’attentato che ha causato 20 morti e decine di feriti. Gaia è funzionaria della Delegazione della Confindustria presso l’Unione Europea e vive a Bruxelles da molti anni.
Subito dopo l’attentato i cellulari sono andati tutti in tilt, impossibile chiamare o ricevere telefonate a causa del sovraffollamento delle linee. Fortunatamente i telefoni fissi funzionavano ancora, e quindi ha potuto tranquillizzare i genitori che si trovano in Italia. Il pensiero di Gaia è subito volato al figlio che si trovava a scuola, fortunatamente in quartiere molto distante dai luoghi degli attentati. Ma la zona intorno all’ufficio era bloccata al traffico, i mezzi pubblici fermi, transenne e perquisizioni ovunque, qualsiasi spostamento reso impossibile. Più tardi è arrivata una email dalla direzione della scuola che esortava i genitori a non venire a prendere i figli per non ingolfare ulteriormente le strade di una città ormai sotto assedio. Le autorità raccomandavano di non spostarsi e non telefonare per non intasare le reti, e di usare i social media per comunicare.
Dopo le cinque Gaia è potuta finalmente rientrare a casa, le strade davano l’impressione di apparente tranquillità, c’era gente a piedi, in bicicletta, in macchina. L’unico segno stonato della terribile giornata era l’ululato costante delle sirene nel sottofondo, lo sfrecciare delle auto della polizia, gli elicotteri sospesi sulla città.
Gaia non pensa che i nuovi attentati siano conseguenza dell’arresto di Salah Abdeslam avvenuta quattro giorni prima. Troppo poco tempo per organizzare attentati su così larga scala. E’ più probabile che si tratti tuttavia di una accelerazione, prima che Salah Abdeslam potesse parlare, di un piano già pianificato nei dettagli. Secondo Gaia era abbastanza prevedibile, ma le forze dell’ordine in Belgio non sono all’altezza di una situazione così critica.
Malgrado l’aeroporto chiuso, il ritrovamento di altri ordigni inesplosi, le indagini a tappeto di forze dell’ordine, Gaia e tutta la città cercheranno sin dal giorno dopo di ritrovare la normalità. Riapriranno le linee della metropolitana, le scuole, Bruxelles cercherà di riprendere con coraggio le attività di ogni giorno. Ma lo stato di allerta rimane.
Di altro avviso è Loretta Napoleoni, economista e esperta di terrorismo internazionale. In una intervista a SkyTg24 sostiene che la data degli attentati di Bruxelles era fissata già da tempo, una data simbolica nella settimana che precede la Pasqua, la festa più importante dei cristiani.

L’opinione di un esperto

Un alto dirigente di un gruppo internazionale di sicurezza aeroportuale, che per ovvie ragioni ha voluto rimanere anonimo, ha dichiarato a Italiani che la concentrazione degli attentati a Bruxelles è il risultato di molti anni di trascuratezza. Anche gli attentatori di Parigi provenivano dal Belgio – e si sono rifugiati trovando copertura in Belgio – in uno stato debole con un governo debole, che por molto tempo addirittura è rimasto senza governo. Le conseguenze sono l’indebolimento delle forze dell’ordine e della intelligence.
Vaste aree del paese, soprattutto a Bruxelles, sono abitate da comunità mussulmane con un alto tasso di criminalità, zone off-limits per la polizia. Le organizzazioni criminali locali nella comunità mussulmana, secondo l’esperto intervistato da Italiani, sono un terreno molto fertile per il reclutamento da parte di altre organizzazioni criminali, con altri obiettivi, ispirate dall’Isis. Tale fenomeno non si verifica in Italia, perché qui le organizzazioni criminali sono fortemente legante alla chiesa cattolica e non consentirebbero l’infiltrazione da parte della criminalità di stampo mussulmano.
Per quanto concerne l’attentato del 22 marzo, il dirigente afferma che sicuramente era stato preparato da tempo, ma che è stato in fretta e furia anticipato per evitare di essere scoperti dopo l’arresto di Salah Abdeslam e di altre due terroristi. Lo dimostra il fatto che, come è trapelato, i tre terroristi si sono recati all’aeroporto in taxi. Grazie alle foto segnaletiche divulgate, l’autista del taxi ha contattato la polizia e rivelato dove aveva imbarcato i terroristi, consentendo l’individuazione del loro covo e la scoperta di altre armi e materiale esplosivo. L’autista ha rivelato che i tre passeggeri avevano con sé cinque grosse valige, ma causa della mancanza di spazio nel portabagagli del taxi, ne hanno dovuto lasciare due. Questo fa pensare ad una organizzazione affrettata decisa all’ultimo momento.
La sicurezza aeroportuale, continua il dirigente del gruppo internazionale, è influenzata dalla legislazione. In Israele, per esempio ci sono tre livelli di controlli negli aeroporti: il primo avviene già all’arrivo nell’area aeroportuale in macchina o con i mezzi pubblici. Personale specializzato e armato ferma i veicoli e fa dei controlli spot interrogando i passeggeri. I casi sospetti vengono invitati ad uscire dalla coda per un controllo approfondito.
Il secondo controllo avviene all’ingresso dell’edificio aeroportuale, dove ci sono metal detector e controllo dei documenti. Il terzo avviene su tutta l’area aeroportuale e consiste nel cosiddetto profiling: esperti antiterrorismo osservano il comportamento delle persone e fermano per controlli le persone sospette. L’approccio è diverso che negli aeroporti europei o americani: non si cerca l’ordigno ma il malintenzionato. In Europa questo tipo di controlli attualmente non sarebbe possibile. Sarà necessari rivedere le legislazione sulla privacy, sui diritti umani e sulla libera circolazione, diritti che sono cari agli Europei ma che dovranno essere rivisti se l’Europa comprende di essere in guerra contro il terrorismo.
Ci vorrà molto tempo a riorganizzare e formare le forze dell’ordine per affrontare questa sfida. Al settore delle vigilanza privata, conclude il dirigente del gruppo internazionale, dovranno essere trasferiti parte dei compiti minori delle forze dell’ordine, perché queste possano concentrare i loro sforzi sulla prevenzione e i contenimento delle attività terroristiche, che sicuramente continueranno.

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::autore_::di Massimo Predieri::/autore_:: ::cck::1154::/cck::

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