Esteri

La Germania raccoglie quel che ha seminato

• Bookmarks: 5


::cck::1151::/cck::
::introtext::

The Courage to be Free: uno degli avvenimenti in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino. Photo: Bundesregierung/Bolesch https://www.bundeskanzlerin.de/Content/EN/Artikel/2014/11_en/2014-11-09-buergerfest-mauerfall_en.html
Le recenti elezioni tedesche hanno registrato risultati in linea con le previsioni. Una nuova destra, il partito xenofobo Alternativa per la Germania (AFD alternativa für Deutschland) è emersa con forza ed entrerà nel Parlamento Federale nel 2017.

leggi in [esp] [eng]

::/introtext::
::fulltext::

leggi in [esp] [eng]

Roma, marzo (OtherNews) – Le recenti elezioni tedesche hanno registrato risultati in linea con le previsioni. Una nuova destra, il partito xenofobo Alternativa per la Germania (AFD alternativa für Deutschland) è emersa con forza ed entrerà nel Parlamento Federale nel 2017.
Un fatto senza precedenti nella politica tedesca a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale oggetto di ampi commenti nel quadro di una tendenza generale in tutta Europa: l’ascesa delle forze populiste e xenofobe.
Le prime avvisaglie ci furono con le elezioni europee del 2004. L’instabilità sociale e la crisi dell’euro, avevano incoraggiato l’avvio di una tempesta della destra. Da allora, in ogni elezione nazionale è stato sperimentato il cambiamento degli equilibri interni.
Nei paesi nordici, esempio storico di civismo e di tolleranza, come Svezia, Norvegia e Danimarca, ne hanno cambiato il corso. I democratici della Svezia, un partito con radici nel movimento neo-nazista, hanno costretto Stoccolma a cambiare la sua famosa politica delle porte aperte ai rifugiati. La scorsa estate in Danimarca, il Partito popolare danese ha ottenuto il secondo posto. I Veri Finlandesi diventano la terza forza nel 2015, e sono ora nella coalizione di governo di Helsinki.
Il massacro di 78 persone in Norvegia effettuato dal neonazi Anders Breivik, nel luglio 2011, ha suonato la campana a morto per la identità politica nordica.
Dal 2004, i partiti radicali di destra non hanno mai smesso di crescere. Ora sono al potere in Ungheria e Polonia ed alcuni giorni fa il filonazista Partito Popolare Nostra Slovacchia (Slovensko Ludova Strana Naše – LSNS), è entrato nel parlamento di Bratislava come quarta forza politica.
E se le elezioni si svolgessero oggi, il Partito della Libertà, del’islamofobo Gert Wilders, otterrebbe il primo posto nei Paesi Bassi. In Francia nel 2015, i partiti tradizionali dovettero unire le forze per bloccare il Fronte Nazionale di Marine Le Pen per impedirgli di vincere le elezioni regionali.
Il peso del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP) ha costretto David Cameron a chiamare un referendum sull’Europa. In Austria, il destrorso Partito della Libertà ha ottenuto il 20,5% dei voti e più recentemente si è collocato davanti ai socialisti ed ai democratici cristiani in alcune elezioni statali, è entrato in un governo socialista nel Burgenland, uno dei nove Stati Federati del Paese e ha conquistato più del 30% dei voti a Vienna. In Italia, se si sommano i voti del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo con quelli della Lega Nord di Matteo Salvini, si arriva a quasi il 40% dei voti contrari all’Europa.
Chiaramente, l’arrivo di più di un milione di profughi ha dato un forte impulso a tutti i partiti xenofobi e la rapida ascesa di Alternativa per la Germania è stata spiegata come una punizione per Angela Merkel, che ha aperto le porte ai rifugiati, senza alcuna consultazione, neanche con la Francia.
Ma insieme a questa ovvia spiegazione, bisognerebbe considerare che, dalla crisi del 2009, in un breve periodo di tempo, la campagna contro l’Europa su una piattaforma nazionalista ha ottenuto grande successo. Anche senza i rifugiati, l’ondata di destra è stato un fatto chiaro ed evidente.
I rifugiati sono diventati un acceleratore per quello che stava già accadendo in tutto il mondo. Perché questi partiti della destra radicale attraggono un elettorato molto eterogeneo, dai lavoratori alle casalinghe, dai pensionati ai giovani studenti? Perché, improvvisamente, il sogno di una integrazione europea ha perso ogni appoggio popolare?
Chiaramente, questo implicherebbe un’analisi complessa e lunga, che non ci possiamo permettere nello spazio di queste righe. Ma vorrei aggiungere un angolo di riflessione scomodo, probabilmente non politicamente corretto: l’intransigenza rigida del governo tedesco (il “Nein für Alen”, il “non a tutti”, incarnato dal Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble), ha contribuito alla riduzione del sogno europeo.
Fino alla crisi del 2009, non ci sono stati problemi economici e sociali gravi. Poi arriva la crisi e all’Europa è riuscito difficile tornare al livello precedente alla crisi (non, tuttavia, all’Italia). Ciò significa che per sette anni, la Germania ha imposto l’austerità come l’unica rotta, con uno scontro epico a Cipro, poi in Grecia e la divisione dell’Europa con una ancora maggiore frattura Nord-Sud.
Naturalmente sarebbe irresponsabile insinuare che il Sud Europa avrebbe potuto ignorare le regole e i bilanci. Ma fare dell’Unione Europea un guardiano chiaramente indifferente ai barbari tagli della spesa pubblica, dell’assistenza sociale, degli ospedali, con la drammatica disoccupazione giovanile emergente ovunque, senza dubbio non fu la migliore ricetta per fornire un’immagine attraente alle istituzioni europee.
La Germania si specchiava come superpotenza gelosa della sua ricchezza che percorreva la sua strada, insensibile ai problemi degli altri, senza alcun interesse alla consultazione e alla socializzazione.
Per il radicalismo di destra, in sette anni di crisi è stato facile attirare un gran numero di persone che si sentivano abbandonate, ignorate dai partiti politici tradizionali. Se le ricordava o le immaginava nei bei tempi della sovranità nazionale, individuando nelle banche e le imprese straniere i loro nemici, negli stranieri, persone che stavano rubando il loro lavoro (ricordiamo la campagna britannica contro l’idraulico polacco) e che guardano a Bruxelles come a una manciata di burocrati non eletti che vogliono intromettersi nella loro vita e decidere la forma dei pomodori.
Berlino non ha fatto nulla per correggere questa tendenza. Ha trasformato il deficit dei paesi debitori in una questione morale ed ha bloccato qualsiasi tentativo di socializzare con altri il surplus della propria economia.
Forse è giunto il momento di considerare che l’intransigenza tedesca ha una parte di responsabilità per la crescita della destra radicale e della marea nazionalista, con il messaggio che non vi è alcuna preoccupazione per gli altri. L’unica intenzione è quella di mantener la sua posizione privilegiata. La solidarietà europea è conclusa.
Ad uno ad uno gli alleati della Germania sono entrati in deficit di bilancio, come Finlandia, Paesi Bassi, Austria, senza che Berlino nemmeno se ne accorgesse. L’austerità era un tabù che non poteva nemmeno essere discusso, allo stesso modo in cui non è possibile discutere dogmi morali o religiosi.
Ciò che viene detto più spesso, è che si tratta di un lamento dal lato dei paesi debitori, che di solito è quello che fanno. Trasferire la responsabilità ai creditori, invece di fare un vero e sincero mea culpa. Ma allora che cosa succede quando Bruxelles, guardiano dell’Europa, imputa una responsabilità europea alla Germania? Totale indifferenza.
Il 13 marzo, la Commissione europea ha pubblicato un rapporto sulla situazione economica, dove ha indicato che Spagna, Italia e Portogallo sono stati i paesi più fragili per la terribile mancanza di crescita nei paesi della zona euro.
Il rapporto evidenzia in particolare la Germania, facendo eco a quanto il FMI, l’OCSE e il G-20 avevano criticato: Berlino ha ignorato la richiesta di aumentare la spesa per le infrastrutture utilizzando il suo enorme surplus come una forma di stimolo.
Negli ultimi 10 anni, la Germania ha dato timidi passi in tutte ed in ciascuna delle raccomandazioni della UE. Non ha aumentato il budget per l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo, né ha migliorato il suo sistema fiscale.
Bruxelles ha chiesto invano di aumentare l’età pensionabile. Le era stato raccomandato di rivedere i cosiddetti trattamenti fiscali chiamati minijobs (piccoli lavori) per rimuovere le barriere nel settore dei servizi, senza alcun tipo di reazione. Sulla richiesta di incremento dei salari per ridistribuire il surplus statale, indifferenza totale.
La Commissione ora afferma chiaramente che il grande surplus commerciale tedesco lo rende un rischio per l’euro. Bruxelles considera che Berlino non sta facendo nulla sulle riforme per aumentare gli investimenti pubblici e conclude che il suo enorme asincronismo di bilancio con il resto d’Europa “ha implicazioni negative per l’area dell’euro”.
Non dimentichiamo che Alternativa per la Germania è stata creata da un gruppo di studiosi che era contro l’euro. Il gruppo è fuori posto nella leadership attuale, che vuole sbarazzarsi della interferenza di Bruxelles nella vita dei tedeschi, per tornare ai tempi della Germania forte del passato.
E’ la rotta della Merkel nella sua splendida solitudine, aiutando o indebolendo il sogno europeo. Non c’è dubbio che lei è stata una leader nazionale brillante. Ma anche europea?
——————
* Giornalista italiano-argentino. Co-fondatore ed ex direttore generale di Inter Press Service (IPS). Negli ultimi anni ha anche fondato Other News, un servizio che fornisce “informazione che i mercati rimuovono.” Altre News. In spagnolo: www.other-news.info/noticias/ in inglese: www.other-net.info

::/fulltext::
::autore_::di Roberto Savio *::/autore_:: ::cck::1151::/cck::

5 recommended
comments icon0 comments
bookmark icon

Write a comment...