La parola

Autosufficienza

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E’ una spinta ineliminabile, nel nostro necessitato vivere in comunità organizzate, la ricerca di quella che può essere sintetizzata come autonomia dagli altri.

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E’ una spinta ineliminabile, nel nostro necessitato vivere in comunità organizzate, la ricerca di quella che può essere sintetizzata come autonomia dagli altri. Un’aspettativa, un’aspirazione comprensibile e potremmo dire anche un substrato per scelte fatte in consapevolezza e autonomia, anche nella direzione della condivisione e della vita in comune.
Ecco perché appare interessante qualche considerazione su un termine come quello scelto, autosufficienza, ovvero nel dizionario, l’essere autosufficiente, il bastare a sé stesso. Ancora si considera tale la condizione subordinata alla disponibilità di energie e di mezzi sufficienti a far fronte alle proprie necessità.
Scarna la documentazione sul significato, ma “sufficiente” a delineare alcuni scenari. Il concetto e la filosofia dell’autosufficienza, si riferisce in buona sostanza alla condizione di persone, abitazioni, città, meccanismi, società, sistemi industriali, nazioni che non richiedono (oppure hanno stabilito di non richiedere) nessun aiuto esterno, sostegno, o (nei casi più estremi) interazioni di tipo commerciale o diplomatico. Questo con lo scopo di garantire un livello di benessere costante non condizionato da fattori o da nazioni esterne; si tratta dunque di una forma estrema di autonomia personale o collettiva.
La storia dell’umanità, degli stati, delle comunità è intessuta di questo status tendenziale. I fatti della storia indicano nella scelta di autosufficienza di un paese, sovente le motivazioni di contrasti, scontri o conflitti nei confronti di altre comunità. L’autosufficienza, anzi per meglio dire, la tensione ideale e pratica per arrivare ad essa connotano scelte politiche, economiche, sociali e via dicendo. Non esiste aspetto del vivere che non coinvolga in qualche maniera il bisogno, il desiderio di autosufficienza.
Altrettanto evidente, peraltro, è la considerazione che nella maggior parte dei casi la ricerca dell’autosufficienza rimanga in gran parte fine a se stessa, irrisolta, non tanto per mancanza di volontà, ma piuttosto per la natura stessa dell’uomo e del suo bisogno di associarsi, di condividere. Dunque l’autosufficienza non può essere totalmente autosufficiente a meno di non pensare ad un sistema chiuso senza interazioni con l’esterno, senza perdite di sostanza. Insomma a qualcosa che nel mondo fisico che conosciamo è praticamente impossibile. Tutto intorno a noi, dall’infinitamente piccolo della materia sino all’infinitamente grande, appare il risultato di interazioni, di scontri, di unioni, di divisioni.
A meno di non riferirsi a scelte radicali di isolamento fondate su forme di pensiero, filosofie di varia natura o scelte religiose, parlare di autosufficienza risulta estremamente fuori contesto. Ed anche nei casi sopracitati nessuna vera autosufficienza si potrà mai raggiungere completamente.
In queste settimane, si dibatte e tra circa due si voterà per un referendum legato all’utilizzo di trivellazioni in mare alla ricerca di idrocarburi, gas e petrolio, da trasformare in energia necessaria a far andare avanti il nostro sistema di vita. Il quesito referendario in sé intende porre fine alle trivellazioni alla scadenza delle concessioni in essere (se si sceglierà di votare sì) oppure prolungarle sino all’esaurimento delle riserve presenti nei giacimenti (se si sceglierà il no).
La ricerca di queste fonti fa parte di quello che dovrebbe essere il piano energetico nazionale, destinato a garantire una sempre maggiore autonomia o autosufficienza al nostro paese liberando la sua economia dal peso di una bolletta energetica fondata in larga parte sull’importazione con inevitabili riflessi sui costi di produzioni, di beni e servizi in genere.
La battaglia nella quale per far vincere il sì si sono impegnate numerose forze politiche e sociali, come anche in senso contrario quelle per il no, ruota proprio su quel concetto di autosufficienza sul quale ci siamo soffermati. Ottenerla per un paese come il nostro privo di grandi riserve è un’utopia, cercare di alleggerire il peso economico di questa situazione altrettanto importante. Diverge il modo in cui si vuole raggiungere l’obiettivo: aumentando le fonti rinnovabili velocemente o gradualmente mentre quelle fossili si esauriscono. Gli interessi in gioco sono altissimi come anche l’aspirazione ad un paese dall’ambiente pulito e incontaminato.
Solo che pensare di trovare soluzioni fondate sull’ideologia non porta in nessun posto.  Nessuno ricorda più il referendum sul nucleare se non per gloriarsi di essere un paese uscito da quella rischiosa fonte di energia. Peccato che centrali atomiche si trovano a pochi passi dai nostri confini ad est e ad ovest e che tuttora paghiamo in termini economici quella scelta e la dismissione stessa delle nostre quattro centrali, con il corollario non certo simpatico di materiale fissile che viene ancora trasportato sulle nostre strade o con altri mezzi.
Pensare di trasformare il nostro paese in una gigantesca distesa di celle solari dovrebbe far riflettere come anche la moltiplicazione di pale eoliche una volta indicate come una panacea. La possibilità di conversione completa alle fonti rinnovabili non è soltanto tecnicamente impossibile, ma anche una vera utopia senza via di uscita a meno di scoperte ancora da venire che le rendano economicamente perseguibili.
In breve potremo essere sempre più ecologici ma mai autosufficienti nel senso di privi di fonti energetiche inquinanti, per molto molto tempo ancora!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1193::/cck::

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