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Pochi giorni fa, nella piattaforma di ghiaccio del Nansen in Antartide, un blocco di 160 km2 si è staccato creando due nuovi iceberg. La causa principale è stata attribuita al cambiamento climatico.
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Immaginate che una città grande come Rieti galleggi nell’oceano alla deriva dei flutti e delle correnti con grave pericolo per le navi. È quanto accaduto pochi giorni fa in Antartide, nella piattaforma di ghiaccio del Nansen, dove un blocco di 160 km2 si è staccato creando due nuovi iceberg.
Solo due volte, durante l’ultimo secolo, masse così grandi di ghiaccio si sono separate dalla stessa piattaforma a sud della Stazione Italiana costiera ‘Mario Zucchelli’.
“Negli ultimi anni in questa piattaforma si era formata una grande frattura, che nel tempo si era allarga ed estesa fino al punto di far presagire un distacco massivo” spiega Vito Vitale dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR).
Questi blocchi di ghiaccio intorno alle coste del continente Antartico sono sicuramente più a rischio essendo esposte ai cambiamenti climatici rispetto al ghiaccio che si trova sulla terraferma per effetto dell’aumento di temperatura sia dell’aria in superficie che dal fondo delle acque oceaniche. La formazione di questa massa ghiacciata galleggiante ha certamente avvalorato, se ce ne fosse ancora bisogno, la tesi del cambiamento in atto del clima sul nostro pianeta, ma, nello stesso tempo assistiamo all’enorme progresso tecnico scientifico nato proprio per controllare questi movimenti e indicarne eventuali direzioni. Un successo che in parte dobbiamo anche ai nostri scienziati italiani.
All’inizio di marzo 2016 le immagini satellitari dettagliate sono state fornite dai satelliti e dai radar del Programma Copernicus, a cui collabora anche l’Italia, con una copertura spaziale e temporale che determina e controlla l’evoluzione di questi fenomeni stabilendo il momento in cui avverrà il processo di distacco, come per la piattaforma di ghiaccio del Nansen.
I satelliti hanno, inoltre, una rilevante importanza per consentire l’osservazione costante, anche per i prossimi mesi, della posizione e dei movimenti di queste due masse di ghiaccio valutando il loro impatto sulle operazioni per la nostra prossima spedizione Antartica australe prevista tra ottobre 2016 e febbraio 2017.
Ricordiamo che appena agli inizi nel 2014 la frattura era ancora minima, ma tra aprile 2015 e marzo 2016, in poco meno di un anno, dunque, si è rapidamente allargata, passando da 11.68 km2 a 25.87 km2, in pratica una grandezza di più del doppio, segnalando come la formazione di grossi iceberg fosse ormai imminente; difatti si è poi avverata.
Attualmente queste due montagne di ghiaccio sono alla deriva con uno spostamento verso nord-est e soggette alle maree, alle correnti e al vento catabatico che soffia in modo inclinato sulle onde del mare artico, tenendole per ora lontano dalle rotte di navigazione.
Fortunatamente, almeno per ora, i due ‘mostri’ di ghiaccio non costituiscono una minaccia immediata per le attività della stazione estiva italiana ‘Mario Zucchelli’ e per le altre stazioni nella Baia di Terra Nova a una distanza di circa dieci chilometri l’una dall’altra. Ma, nell’immediato, potrebbero costituire una minaccia per i moorings – gli ormeggi permanenti dove possono essere assicurate navi, banchine, moli, pontili – installati nel corso degli anni in quella zona di mare.
“Il distacco di iceberg dalle lingue e tavolati glaciali che si affacciano sulla costa del continente Antartico – sottolinea Enrico Brugnoli, Direttore del Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente del CNR – è un fenomeno che si ripete regolarmente, ma molto più raro è il distacco di masse di ghiaccio importanti come quelle cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. Da quando l’Italia opera nella zona di Baia Terra Nova, cioè dal 1984, questa è la prima volta che si assiste a un evento di queste dimensioni, mentre un evento imponente accadde nel 2000 nel Mar di Rosso”.
Purtroppo questi fenomeni, con lo scioglimento dei ghiacci a causa del cambiamento di clima, diventeranno sempre più numerosi formando un fattore di rischio non solo per le strutture scientifiche che risiedono stabilente nel ‘Continente di ghiaccio’, ma anche per la navigazione e, in un futuro prossimo, tanto per dar retta ai catastrofisti, addirittura nei nostri mari con l’innalzamento delle acque.
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::autore_::di Sergio Lo Martire::/autore_:: ::cck::1212::/cck::