Ormai da lungo tempo analizziamo la situazione politica nazionale, il confronto, il dibattito nel paese o meglio nella sua classe dirigente che dovrebbe (e non è detto) rappresentare il sentire comune.
Ormai da lungo tempo analizziamo la situazione politica nazionale, il confronto, il dibattito nel paese o meglio nella sua classe dirigente che dovrebbe (e non è detto) rappresentare il sentire comune. Non abbiamo mai avuto soverchie illusioni su improvvise e insperate palingenesi.
Tuttavia la sensazione che qualche cosa si potesse riuscire finalmente a cambiare era divenuta palpabile sul finire del secondo breve mandato presidenziale di Napolitano. Allora con il cambio della guardia e la spinta del Pd a guida Renzi, pur nella confusione generale e nelle difficoltà immanenti economiche e sociali, sembrava cominciare pian piano una stagione un po’ meno paludosa e stagnante delle precedenti. Il piglio e la dinamica impressa dal governo apparivano capaci di spezzare vincoli atavici, legacci stantii ma non meno pervicaci. Sembrava che finalmente se si parlava di ripresa si parlava veramente di cosa fare, se si discettava di debito pubblico si parlava effettivamente delle misure necessarie, così sul fronte dei meccanismi necessari ad innescare circoli virtuosi nell’economia al palo, riavviare i percorsi per favorire l’occupazione e via dicendo. In tutto questo tra uno strappo e uno strappetto alla concertazione imperante, al moloch delle consultazioni anche con il portiere di palazzo Chigi (persona degnissima certo, ma non rappresentativa dell’intero paese) o di forze sindacali e sociali di ogni tipo ed estrazione, si immaginava che finalmente dopo decenni di morta gora, il paese potesse imboccare una via nuova, un nuovo modo di essere improntato alla ricerca dell’efficienza, della rapidità e degli interventi da decenni auspicati e promessi.
Lo scenario che abbiamo davanti ci riverbera invece un’immagine confusa e sempre più desolata. Avevamo immaginato che i vari poteri, poterucoli e poteretti che hanno intessuto i meccanismi di amministrazione e governo per lunghe stagioni avessero finalmente fatto il loro tempo e dunque dovessero prendere atto che il cambiamento era arrivato ed adeguarsi. Niente di tutto questo. In una farsesca ma al tempo stesso tragica replica della tattica militare russa (e poi sovietica), questi centri di potere hanno prima compiuto una ritirata strategica dietro gli Urali (per continuare nella rappresentazione storica), hanno consolidato i loro bastioni e le loro salmerie, e ora sempre più chiaramente stanno tornando ad avanzare contro il nemico: cioè chi vuole cambiare il paese una volta e per tutte, finalmente!
Non ci riferiamo al governo, al premier Renzi soltanto, a coloro cioè che in questa stagione incarnano o meno questa spinta al mutamento. Parliamo invece di milioni di persone che hanno creduto e credono che si possa e si debba fare qualcosa per camminare vero la ripresa, per lasciare comodi lidi e affrontare qualche maroso, per essere attivi e non “comodamente” paralizzati in certezze ormai infrante ma della cui vacuità nessuno vuole rendersi conto.
E’ a questi milioni di italiani, la maggioranza, che occorre rivolgersi e affidare la scelta di coloro che dovranno garantire che il movimento, il cambiamento, non vengano inceppati dai soli sistemi di “confronto”, di dialogo tra sordi, da ineliminabili e defatiganti dialettiche tra parti sociali, in realtà gruppi e gruppetti di interessi che non vogliono cedere neppure un millimetro delle proprie prebende, mentre il paese reale affonda.
Il cammino del governo e della maggioranza, ancorché garantito dai voti di fiducia, affronta in questi mesi il passaggio più difficile e le prove amministrative e il referendum costituzionale sono altrettante colonne d’ercole o capi Horn se si preferisce, per capire se lacci e lacciuoli, piccoli interessi di bottega o peggio chiusure corporative di ogni genere, riusciranno nell’intento in atto ormai da quasi un anno dei quasi due di governo, a bloccare, indebolire, defatigare, impedire ogni riforma seria.
Il tono e le tematiche che intessono il dibattito, se così si può chiamare tra i candidati nelle grandi e piccole città che affrontano a giugno il voto amministrativo, non aiuta a guardare avanti con fiducia. In mezzo, ineliminabili inchieste giudiziarie staccano pezzi di strutture politiche o ipotecano figure rappresentative di questo o quel gruppo politico, rendendo tutti uguali dinanzi alla legge e questo è non solo auspicabile ma necessario, ma aumentando il senso di nebbia e di frustrazione di chi deve andare a votare e decidere per chi!
Nessuno sembra immune da questo. Non il Pd unico residuo della vecchia forma partito ormai disarticolato e in forte crisi locale, tanto meno il centro destra già a suo tempo disarticolato nell’eclissi dell’ex cavaliere e in cerca di nuovi numi tutelari, e neppure il “nuovo” sino a ieri movimento cinquestelle. Anzi, proprio l’impatto con la giustizia sta mostrando la vera faccia del “giustizialismo” pentastellato: tutti sono disonesti, noi no! Solo che quando uno dei loro rimane invischiato se è “amico” del direttorio e dei guru va difeso, se ha un minimo di autonomia sul campo, no, va sospeso, invitato a dimettersi e via dicendo. Se i meccanismi dei partiti consueti appaiono nebulosi e non di garanzia, il fumus di quanto accade nella rete fa pensare ad un uso protratto di sostanze dopanti per non dire di più!
E’ proprio un bel dilemma, quello al quale gli italiani si accingono a rispondere speriamo in gran numero, in quelle grandi città che se non rappresentano tutto il paese di mille campanili, sono sicuramente una lente di analisi importante di un bel pezzo e non secondario di esso! Confidiamo (è sempre l’ultima speme) che qualcosa di nuovo appaia all’orizzonte!
di Roberto Mostarda