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Dal 15 Maggio all’8 gennaio 2017 Pompei ospiterà 30 opere dello scultore franco-polacco Igor Mitoraj. Era questo il suo sogno di artista innamorato del “ sublime mondo antico”: ambientarle nella città sepolta dall’eruzione che non diede scampo, nell’area archeologica tra le piu’ celebri al mondo.
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Cosa c’è di più fragile di un bambino che si affida alla mano della madre, in un impossibile tentativo di fuga? O di due esseri umani che si fanno scudo a vicenda, abbracciati in un ultimo spasimo prima che arrivi la morte? E, al contrario, cosa c’è di più forte di un desiderio che qualcuno porta a concreto compimento, anche quando chi lo ha espresso non c’è più?
Domande, riflessioni che ci arrivano addosso attraversando gli scavi di Pompei, dove (dal 15 Maggio all’8 gennaio 2017) sono esposte 30 opere dello scultore franco -polacco Igor Mitoraj. Era questo il suo sogno di artista innamorato del “sublime mondo antico”: ambientarle nella città sepolta dall’eruzione che non diede scampo, nell’area archeologica tra le più celebri al mondo. A questo aveva lavorato fino all’ultimo, prima della sua scomparsa, nell’ottobre del 2014. Aveva progettato lo spazio dove collocarle, quelle monumentali sculture di bronzo, enigmatiche come gli dei e gli eroi che rappresentano. Figure sospese, interrotte, in attesa. Affacciato sul Golfo, tra le rovine del Santuario di Venere, ecco Dedalo imponente e assorto; nel Foro, il Centauro con i bassorilievi di lotte apocalittiche, mitologiche. Poco distante l’Ikaro Blu di accecante bellezza e grande impatto emotivo: è un gigante caduto, questo bronzo realizzato appena un anno prima della morte dell’artista. E i suoi sono tutti enormi frammenti di una grandiosità leggendaria che, nella loro contemporaneità, continuano a dialogare con la memoria, in simbiosi perfetta tra antico e moderno. E a ricordarci la fragilità dell’esistenza, come la sua maestosa bellezza.
L’idea di questa Mostra era nata nella Valle dei Templi di Agrigento, nel 2011, dove Mitoraj aveva portato la sua monumentale esposizione: era la prima volta che quel sito archeologico si apriva all’arte contemporanea. L’anno successivo le sue opere erano state esposte a Ravello, nella Cappella di Villa Ruffolo e nell’auditorium Niemeyer, e poi, nel 2013, nel 950esimo anniversario della Cattedrale, a Pisa: ancora una volta l’arte contemporanea entrava in un luogo dove non si era mai affacciata.
Nel riconoscere il debito nei confronti dell’antichità , Mitoraj aggiungeva che la sua ricerca era anche volta a cogliere frammenti di una comunione “mistica” tra la Grecia, l’Egitto e il lontano Oriente”, e i tratti somatici delle sue statue rimandano a quella fusione di razze e culture diverse. E allora, non forse un caso che l’ultimo sogno del maestro sia stato realizzato dalla Fondazione Terzo Pilastro: per il Presidente Emmanuele Francesco Maria Emanuele “il suo stile attinge al patrimonio storico del Mediterraneo, concepito come mare d’incontro tra popoli, civiltà e culture”. Muovendoci oggi, lungo questo pantheon di figure interrotte, quasi in attesa, o di angeli che una mano trattiene, come l’Eros in Via dell’Abbondanza, tornano alla mente le parole di Theophile Gautier: a Pompei “due passi separano la vita antica dalla vita moderna”.
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::autore_::di Silvia Mauro::/autore_:: ::cck::1284::/cck::