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Il ritorno di Ferdinand a Positano

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Positano, la cupola della chiesa madre vista dal Palazzo Murat – Foto di Massimo Predieri
Ferdinand aveva deciso: avrebbe fatto un viaggio più tranquillo di quello a Cuba. Ancora non riusciva a capire perché si fosse tanto stancato.

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Ferdinand aveva deciso: avrebbe fatto un viaggio più tranquillo di quello a Cuba. Ancora non riusciva a capire perché si fosse tanto stancato.
Così decise di tornare a Positano, dove un tempo aveva cominciato ad aprire gli occhi sulla sua precedente fidanzata e, per questo, nutriva una specie di riconoscenza verso questo paese dove aveva gettato anche le basi dell’attuale relazione con Anita.
E poi il posto era rimasto, nonostante la notorietà mondiale, delizioso.
E fu così che, dopo essere atterrati a Napoli, si fecero portare a Sorrento con un taxi.
Aveva scelto Sorrento perché voleva noleggiare una carrozzella che li portasse in maniera romantica a Positano. Cosa che fecero appena arrivati.
–  Signó –  disse il cocchiere in napoletano, –  volete andare per il nastro verde o per quello azzurro?
– Mah…non saprei la differenza – rispose Ferdinand –  portateci per la strada più panoramica.
– Vabbè dottò, non vi preoccupate, faccio io − disse quello.
Caricati i pochi bagagli sulla carrozza, iniziarono una gita meravigliosa.
Sorrento, Punta Campanella, il Golfo di Napoli, Capri si succedevano davanti ai loro occhi stupiti da tanta bellezza. Erano talmente estasiati che non riuscivano neanche ad aprire bocca.
Qualsiasi commento sarebbe stato inadeguato a descrivere l’incanto di quei posti dove, oltre all’astuto e valoroso Ulisse, anche un imperatore romano aveva trovato il suo rifugio.
Per non parlare degli antichi Dei che qui erano di casa.
Fu un lento ma meraviglioso andare per quelle strade che si inerpicavano su S.Agata, Nerano, i colli a precipizio sul mare dove galleggiavano pigre le Isole dei Galli, ben consce del loro fascino eterno.
Solo i viaggiatori del Gran Tour avevano vissuto una cosa simile.
Oggi i turisti si mettono in taxi o pullman veloci, devono arrivare presto perché presto devono ripartire.
In serata arrivarono stanchi ma felici e dopo una cenetta deliziosa, passarono una notte altrettanto felice.

La mattina dopo, appena svegli, si affacciarono davanti a un giardino che era un tripudio di fiori.
L’albergo, infatti, aveva un vecchio orto, trasformato in un giardino botanico dalla mano sapiente di un esperto che aveva distribuito così tante piante rare che, unite alla natura esuberante del posto, costituivano un insieme di straordinaria bellezza.
Una visita alla nuova scoperta archeologica era doverosa, infatti avevano appena aperto al pubblico la Villa Romana che si trovava sotto la Chiesa Madre.
Inutile dire che gli affreschi ed i colori che trovarono laggiù erano i più belli in assoluto che avessero mai visto, sembrava che mantenessero intatta la freschezza dopo quasi due millenni di sepoltura.
Un giro per i negozi era altrettanto doveroso ed Anita arricchì il suo guardaroba di camicette e costumi.
A questo punto Ferdinand prese in fitto una barchetta a remi e lentamente si portò lungo la costa fino ad arrivare in una spiaggetta defilata dove c’era poca gente, quasi nessuno.
Era un posto poco conosciuto, i turisti preferivano sfrecciare veloci con i loro gommoni verso Capri o Amalfi.
A lui poi piaceva nuotare con maschera e pinne ed aveva bisogno di posti tranquilli e sicuri come questo.
È così, mentre Anita si rosolava contenta al sole, lui iniziò una nuotata che si sarebbe poi rivelata memorabile.
Cominciò lentamente a nuotare fra gli scogli vicini alla roccia per dirigersi poi verso il “Germano”, un faraglione di roccia separato dalla costa da uno stretto braccio di mare, chiamato così dai vecchi pescatori perché aveva un profilo che somigliava alla testa di un uomo, che loro consideravano un fratello, che nel dialetto locale e non solo, si diceva appunto Germano.
Molte spaccate nella parete subacquea ne facevano un habitat ideale per pesci e floride vegetazioni.
Ferdinand, nonostante fosse altoatesino, era un discreto subacqueo e si divertiva ad andare su e giù lungo quella parete infilandosi in profondità nelle fessure della roccia.
Inutile dire lo spettacolo che gli si parava davanti ogni volta.
Astroides, parazoanthus, coralli ed altro tappezzavano la parete con una fitta vegetazione sottomarina nella quale vivevano tutti i minuscoli abitanti di quelle acque che si mimetizzavano nei colori più belli che la natura avesse creato, paragonabili solo a quelli dei fiori terrestri.
Mentre scendeva in una grotta un po’ più profonda, avvertì una presenza al suo fianco, quasi un’onda lieve che lo colpiva. Si girò di lato per vedere ma notò solo un guizzo dietro di lui, un’ombra che velocemente scomparve.
Incuriosito si immerse di nuovo in quella grotta e venne sfiorato su una gamba dallo stesso guizzo di prima.
Cosa sarà? Si chiedeva mentre scendeva la terza volta.
E fu così che la vide.
Una cernia enorme stava lì davanti a lui, nella solita posizione a candela e lo guardava direttamente negli occhi.
Ed ora?
– Ed ora niente, gli disse una voce nella testa.
Quale voce?
– La mia – disse la cernia.
???
– Sì – disse questa, − tu sei Ferdinand, un lontano discendente di una persona che abbiamo conosciuto.
Ferdinand non credeva ai propri occhi ed alle proprie orecchie, gli stava venendo meno il fiato.
− Vieni qui − gli disse la cernia mentre gli infilava nel naso due conchiglie.
− Con queste puoi respirare tranquillamente, sono delle branchie di emergenza che usiamo in queste occasioni. Seguimi − diceva la cernia, e lui, senza sapere bene il perché, la seguiva.
Entrarono in una grotta profonda in fondo alla quale si intravedeva qualcosa che somigliava ad una specie di altarino, ma non si vedeva quasi più.
− Venite qui! − Una frotta di cerniotte comparve all’istante. − Andate a chiamare le salpe e dite loro di illuminare la grotta, quest’uomo non vede niente quaggiù.
Inutile dire che poco dopo una luce si diffuse dall’esterno, riflettendosi su un branco di salpe che si disponeva a guisa di parabola all’ingresso della grotta, colorando le scaglie dei pesci disposti a modo di cordone ombelicale verso il fondo.
− Vedi, qui ci sono i ricordi di un tuo antenato, − disse la cernia mostrandogli mozziconi di sigari e tappi di bottiglie.
Ferdinand sapeva vagamente della leggenda di un suo antenato trasformato in polipo da una fatwa del Sultano di cui era Gran Visir, ma credeva che fosse solo una leggenda.
− No, è la verità, mio nonno mi parlava spesso di lui e noi custodiamo questo posto in suo ricordo, perché era un polipo speciale, un polipo con la testa di un uomo.
E mentre diceva questo, con un guizzo impressionante divorò in un istante un granchio che si aggirava incautamente da quelle parti.
Ad un suo sguardo interrogativo, la cernia disse: − vedi, voi uomini vi meravigliate del fatto che noi ci mangiamo l’un l’altro, che il pesce grande mangi il piccolo, ma noi lo facciamo senza cattiveria, solo per cibarci, per la perpetuazione della specie, ed il pesce che viene mangiato non soffre, anzi, è consapevole di partecipare al divenire del mondo sottomarino. Ed è per questo il Signore non ci ha dato muscoli mimici, perché non abbiamo quella moltitudine di sensibilità ed aspetti relativi che invece caratterizzano gli esseri umani, i quali, detto tra noi, li usano in maniera non del tutto corretta. Noi invece siamo tutti una grande famiglia con delle regole precise e contribuiamo anche a mantenere la razza umana offrendole cibo con i pesci da voi pescati.
− A dire il vero, negli ultimi anni state esagerando e se continua così fra non molto non partecipiamo più, così imparate.
− Anche fra noi sta prendendo piede la dieta vegetariana, infatti ci sono sempre più pesci che non mangiano quelli più piccoli ma brucano la vegetazione sottomarina come le mucche al pascolo sull’erba.
− Ora debbo andare, ti saluto e ricordati del tuo avo, che qui viene quasi venerato: tu gli rassomigli molto, disse mentre gli sfilava le conchiglie dal naso.
A questo punto Ferdinand dovette uscire velocemente dalla grotta ed iniziare la risalita.
Mentre saliva i suoi pensieri si confusero e, una volta in superficie, non sapeva più se avesse sognato o quel vago ricordo che conservava dell’accaduto fosse realtà.
In preda a questi dubbi ritornò sulla spiaggetta.
− Dove sei stato? Mi hai fatto preoccupare!
Anita era un po’ sconvolta dalla paura ma molto felice di rivederlo, come mostrava chiaramente il suo volto incastonato in una cascata di capelli biondi.
Ferdinand le si avvicinò, la strinse fra le braccia e baciandola la trascinò in acqua.
− Vieni cara, ti faccio fare un’immersione speciale, − le diceva dolcemente trascinandola verso il fondo con le labbra incollate alle sue.

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::autore_::di Mario Attanasio::/autore_:: ::cck::1310::/cck::

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