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Con questo sostantivo e con la parola da cui logicamente deriva, pregiudizio, si potrebbero riempire pagine di storia e di filosofia, nonché di etica e analisi sociale!
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Con questo sostantivo e con la parola da cui logicamente deriva, pregiudizio, si potrebbero riempire pagine di storia e di filosofia, nonché di etica e analisi sociale! Ma basta anche, più prosaicamente, guardarsi intorno ogni giorno per comprendere di cosa parliamo.
Intanto qualche indicazione sul significato del termine che derivadal tardo latino praeiudicialis. Si intende ciò che deve essere trattato, esaminato, deciso prima di deliberare intorno a qualsiasi altra azione o decisione. Tra le maggiori esplicazioni pratiche quella del diritto processuale, dove si indica una questione giuridica che condiziona tutti gli atti successivi e la competenza stessa dell’organo giudicante, e che quindi deve essere risolta preliminarmente, con precedenza su altre questioni. Come sostantivo femminile, allo stesso tempo, delinea una questione che si deve risolvere prima di discuterne un’altra, sulla decisione della quale influisce più o meno direttamente. Per estensione, nel linguaggio politico, ci si riferisce ad una condizione che si considera necessaria per la continuazione di una trattativa, per l’adesione a un’iniziativa. Si usa anche come avverbio pregiudizialménte, ossia in via pregiudiziale.
Alla lettera e in senso generale il pregiudizio e la pregiudiziale configura un giudizio anticipato rispetto alla valutazione dei fatti. Risponde a questa accezione l’uso comune del termine in locuzioni quali “esaminare un problema senza pregiudizi”, o “essere spregiudicati”. In senso più tecnico e restrittivo il vocabolo serve invece a designare, e inscindibilmente a connotare in senso negativo, qualsiasi atteggiamento sfavorevole o ostile, in particolare quando esso presenti, oltre che caratteri di superficialità e indebita generalizzazione anche caratteristiche di rigidità, cioè quando implichi il rifiuto di metterne in dubbio la fondatezza e la resistenza a verificarne la pertinenza e la coerenza. Alcuni aspetti del pregiudizio consentono peraltro di delimitarne meglio la natura specifica. Il pregiudizio nei confronti di un qualsiasi aspetto della realtà materiale o sociale presenta infatti dinamiche psicologiche che lo differenziano dalla maggioranza degli atteggiamenti elementari in genere. In questi ultimi esiste per lo più un interesse, pragmatico e conoscitivo, cioè una tendenza (‘positiva’) all’avvicinamento all’oggetto: si pensi agli atteggiamenti di simpatia, di curiosità, di immedesimazione, di desiderio e di disposizione al legame. Nel pregiudizio si ha invece una tendenza (‘negativa’) ad allontanarsi dall’oggetto. Qualsiasi opinione pregiudiziale tende perciò a rimanere, oltre che generica, poco modificabile: in pratica, per il fatto stesso di riguardare un aspetto della realtà classificato come negativo, il soggetto rifiuta di approfondirne la conoscenza.
La condivisione consensuale del pregiudizio è qui parte integrante della sua forza. Occorre sottolineare che questo consenso è, di necessità, legato a giudizi che si esprimono in formule semplificate, cioè in stereotipi. Non soltanto, dunque, la rozzezza della formulazione del pregiudizio è parte della sua essenza di fenomeno aggressivo, ma si può anche osservare che, paradossalmente, il carattere liquidatorio del giudizio verso l’oggetto vuole qualificare (favorevolmente) il soggetto.
E’ proprio in quest’ultimo ambito che ritroviamo molti elementi che ci riportano alla condizione sociale e politica nella quale viviamo. Passano gli anni, sono trascorsi secoli, si susseguono i mutamenti, ma la logica del pre-giudizio e dunque la necessità pregiudiziale di esprimersi negativamente su qualcuno o qualcosa, sembra essere la cifra interpretativa della nostra quotidianità, ma anche e purtroppo della stessa dialettica politica e non solo. Fatti salvi ovviamente i valori fondamentali, i principi costituzionali, quelli per intendersi che sono nella prima parte della nostra Carta, ogni giorno assistiamo a logiche di schieramento che escludono, emarginano, esprimono pre-giudiziali nei confronti di qualcuno, di un avversario politico, amministrativo e via dicendo. Si potrebbe sottolineare che è necessario talvolta, anzi molto spesso, indicare confini, limiti invalicabili e irrinunciabili ma quello cui assistiamo sembra appartenere più ad una logica di bottega, di piccolo cabotaggio, da guelfi e ghibellini in sedicesimo sempre e comunque, anche contro l’intelligenza, con quella rozzezza sostanziale della quale abbiamo parlato!
Quel che preoccupa è che questa rozzezza, questa incapacità di accompagnare e non ostacolare ogni cambiamento, permea anche il confronto al livello politico più alto, quello nel quale si dovrebbe assistere ad un confronto sereno, aperto, privo cioè di quelle “pregiudiziali” che non fanno altro che bloccare, impedire, complicare ogni tentativo di evoluzione, anche quello che si situa nell’alveo dei principi condivisi.
A volte si ha la sensazione netta di assistere ad uno sterile esercizio di ripicca, di revanscismo di varia eziologia. A discussioni tra comari, come si diceva una volta! Molto lontani cioè dalla nobiltà di intenti e dalla consapevolezza necessarie per riaffermare i valori fondanti proprio nell’esercizio del cambiamento. In qualche stagione, poche in verità, si è assistito a questo scenario. Oggi e da molto tempo, il quadro è sconsolante soprattutto per la miseria dialettica e la pochezza concettuale che accompagna vane e vacue ripetizioni a pappagallo di lezioni storiche che non si sono mai evidentemente approfondite e capite nel modo più coerente con lo sviluppo e la crescita del paese. E i guasti sociali ai quali assistiamo sono proprio il frutto di questa incapacità e di questo limite autoinflitto a quella che Aldo Moro definiva in modo impareggiabile “intelligenza degli avvenimenti”. Una lezione purtroppo che appare irrimediabilmente dimenticata!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1313::/cck::