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Venti anni e passa di riforme, cambiamenti e circolari varie non sono serviti a mettere una parola d’ordine sull’annoso nodo delle pensioni nel nostro paese.
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Venti anni e passa di riforme, cambiamenti e circolari varie non sono serviti a mettere una parola d’ordine sull’annoso nodo delle pensioni nel nostro paese.
Il presidente Tito Boeri interpreta il suo ruolo in maniera molto attiva, gettando in pasto all’opinione pubblica soluzioni e provocazioni.
La riforma Fornero del 2011 ha di certo messo in equilibrio il sistema pensionistico, con una tendenza nel lungo periodo che sembra abbia i connotati della sostenibilità finanziaria, nonostante la spesa ad oggi rappresenti più del 16% del Pil e circa 80 miliardi del bilancio dell’ente previdenziale sia a carico della fiscalità generale.
L’aver innalzato l’età pensionabile oltre la media europea, trascinando pro-rata sul contributivo anche i lavoratori ancora inseriti nel vecchio sistema retributivo, ha permesso di concentrare l’attenzione sull’equità della riforma ma anche sull’abissale differenza tra coloro che sono già in pensione e i giovanissimi che si accingono ad entrare in un mondo lavorativo con prospettive di stabilità di gran lunga più deboli rispetto a quelle delle precedenti generazioni.
Se consideriamo che il 42% degli assegni pensionistici è inferiore ai 1000 euro, a fronte di un 5,4% che percepisce più di 3000 euro, possiamo affermare che già oggi il problema dello schiacciamento verso il basso esiste, a prescindere dal sistema contributivo o retributivo, a testimonianza di un modello premiante per le carriere più alte e dinamiche, che riceveranno un trattamento diverso, anche con il sistema contributivo.
L’aver traslato ed innalzato l’età pensionabile ha dei connotati sicuramente contabili, ma suscita molte perplessità dal punto di vista sociale.
Le proiezioni degli assegni pensionistici totalmente contributivi, fra 20-30 anni, prevedono un tasso di sostituzione del 50-60% rispetto all’ultimo stipendio; trascurabile ad oggi la componente derivante dalla previdenza integrativa per le scarse adesioni e per un’informazione molto parziale e carente sul mondo dei fondi pensione e sulla contribuzione derivante dal trattamento di fine rapporto (tfr).
L’invio delle “buste arancioni” è stata per anni osteggiata, per evitare subbugli e tumulti nei lavoratori che spesso preferiscono evitare di essere investiti da notizie così destabilizzanti.
Il recente tentativo di introdurre delle forme di flessibilità in uscita, con annessa penalizzazione dell’importo della prestazione, è una prima manovra che si inserisce nel più ampio discorso della discriminazione tra generazioni e della redistribuzione della ricchezza in termini di solidarietà sociale.
I più colpiti sono sicuramente i giovani, a causa dell’elevata disoccupazione e delle decontribuzioni sui nuovi contratti in essere dal nuovo jobs act, che prefigurano delle carriere contributive che difficilmente porteranno ai limiti dell’attuale assegno sociale.
L’evoluzione della demografia, la natalità e la disoccupazione sono alcuni dei fattori più importanti per definire e modellare un sistema pensionistico, rispettando anche i parametri di sostenibilità finanziaria del bilancio di uno Stato, ma l’attuale configurazione del paese, inserito all’interno di vincoli europei, non consente molte discussioni sull’etica o sulla socialità.
Se si parte dalla demonizzazione del debito pubblico e dai limiti imposti dai trattati europei, la discussione rimane inserita sulla solidarietà tra le vecchie e nuove generazioni.
Il punto di Boeri è proprio questo: siamo disposti a creare un paese che ha perso una generazione di giovani, senza garanzie e senza futuro, o un calcolo contributivo sulle pensioni già in essere ci può aiutare a redistribuire verso i giovani delle risorse per il loro sostentamento presente o futuro?
Nel paese dei diritti acquisiti fare troppa chiarezza spesso non è molto popolare, ma trovare soluzioni tra gli estremi dei paesi liberisti e privi di garanzie all’americana ed i paesi socialdemocratici assistenzialisti è perlomeno un punto di partenza.
Nessun bilancio potrà quadrare se la natalità non riprende, l’occupazione non cresce e la ricchezza non verrà distribuita ricreando una forte classe media.
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::autore_::di Gianluca Di Russo::/autore_:: ::cck::1321::/cck::