Avevamo provato a immaginare che cosa ci avrebbero raccontato le amministrative appena conclusesi, cercando di capire se dagli italiani sarebbe venuto qualche segnale intellegibile di un cambiamento di scelte politiche a livello locale e in linea prospettica, nazionale.
Avevamo provato a immaginare che cosa ci avrebbero raccontato le amministrative appena conclusesi, cercando di capire se dagli italiani sarebbe venuto qualche segnale intellegibile di un cambiamento di scelte politiche a livello locale e in linea prospettica, nazionale.
I risultati del primo turno – tra quindici giorni il ballottaggio potrebbe riservarci ulteriori sorprese – ci restituiscono un mosaico di incredibile complessità e nel quale è difficile intravedere linee portanti, elementi distintivi, possibili valori aggiunti per il futuro.
Certo, come sempre, qualche cosa emerge. Da un lato la sofferenza del partito democratico, frutto della politica manageriale del premier certamente, ma anche della antica malattia della sinistra: il divisionismo, il non volere vincere preferendo perdere pur di prendere atto dei mutamenti del paese. La scomparsa e parcellizzazione della sinistra a sinistra del Pd, la sua ininfluenza numerica sono sotto gli occhi di tutti come anche l’assurda analisi, citiamo per tutti quella del romano Fassina: non siamo andati bene, ma tanto i nostri voti non sarebbero andati al Pd! Per un fuoriuscito ormai storico una contorta presa d’atto, per lo scenario nel quale questa analisi si cala, un episodio inveterato di “tafazzismo”, ossia la variante autolesionista del divisionismo. Ed anche un segnale chiaro per la sinistra interna, sempre sul punto di… Gli elettori di sinistra pur non soddisfatti appieno dell’attuale dirigenza, non seguono poi avventure o avventurette di chi si trova scomodo nella casa comune. Di qui la necessità di una sintesi, di un incontro su punti comuni che faccia riconoscere un partito certo ricco di sfaccettature, ma sostanzialmente legato ad una serie precisa di culture politiche ancora vive e presenti nel paese.
Altro elemento importante, l’affermazione dei Cinquestelle. Pensiamo a Roma e Torino, soprattutto ma anche a buoni risultati in diverse altre realtà al voto. Anche se tuttora appare quasi impresa impossibile decrittare esattamente che cosa sia il movimento ormai in trasformazione verso un soggetto più strutturato, quali le scelte economiche e sociali. E questo a parte le elucubrazioni prima del defunto Casaleggio e poi del Grillo attuale in eclissi attuale, oppure no, a seconda dei momenti (della serie se si vince è meglio farsi notare subito, oppure stare in disparte e farsi notare di più, citando liberamente una delle vette del nannimorettismo cinematografico). Le pattuglie dei giovani leoni pentastellati sembrano baldanzose, ancora convinte di essere ormai gli unici a poter e saper governare le città e forse il paese. Al di là dell’autoreferenziale atteggiamento e al netto dell’assoluto digiuno a livello amministrativo, il mettersi alla prova ci dirà di cosa sono capaci. Il problema è, per così dire, che simili esperimenti avvengono in corpore vili dei cittadini. E questo non è molto benaugurante. E’ come essere operati da un tirocinante invece che da un esperto chirurgo. Se va bene il tirocinante fa carriera e impara, se va male il danno non è per i sanitari, ma per il paziente. Cioè il cittadino! Discorso analogo va fatto per gli esperimenti ancora in corso, con vaghezze antisistema come a Napoli dove il sindaco uscente sembra ormai Masaniello, ma non quello che voleva difendere il popolo, bensì quello in preda ai deliri onirici e palingenetici!
E questo ci porta all’altro corno della fiamma antica, come direbbe Dante, cioè al centrodestra, o meglio ai centrodestra che hanno fatto ben mostra di sé da nord a sud se si eccettua Milano. Qui più che di fronte ad un cantiere con lavori in corso, sembra di assistere allo smantellamento dell’Ilva. Nessuno però sembra sapere ancora dove vanno portati i veleni e i materiali pericolosi. Il risultato complessivamente positivo della Lega da una prima indicazione, come anche il radicamento di realtà come Fratelli d’Italia che sembra avviarsi ad essere casa comune dopo la scomparsa di Alleanza Nazionale (già chi la ricorda più?). Il vero nodo, il black hole, di questa area è Forza Italia, o meglio la pallida parvenza di essa. Senza il monarca prevalgono i valvassori e i valvassini, ognuno per la sua strada e ognun per sé. Il risultato è l’ininfluenza nella maggioranza dei luoghi dove si è votato e l’oggettiva difficoltà di ricostruire un soggetto per i moderati italiani che nonostante tutto restano la maggioranza del paese, come dimostra l’attenzione marcata di Renzi e del suo Pd. In mezzo pezzi e pezzettini di parti del fu centrodestra più moderato che tuttavia non riescono ad uscire da una condizione di sostanziale minorità! E il cui destino oscilla ancora tra un ritorno all’antico ormai defunto o verso un futuro difficile come confluire in una formazione nazionale a guida del partito democratico che tuttavia vedrebbe in questo caso una vera e propria scissione sulla sinistra.
Sì, gli italiani hanno parlato. Non in massa (la partecipazione al voto resta bassa e scende ad eccezione di Roma, quasi ovunque) o, altra lettura, in massa considerando il grande partito degli astenuti, ma non sono riusciti a trovare una via maestra sulla quale incanalare la politica che comunque deve rappresentarli e amministrare grandi e piccole città. Restano lo scontento, la disaffezione e la sfiducia. Tutti elementi che spingono verso percorsi avventurosi il cui sbocco tarda a manifestarsi, o forse ancora non c’è.
Quel che manca e di cui si sente il vuoto è la sintesi politica capace di rappresentare appieno lo sforzo che il paese sta comunque compiendo, cercando la ripresa, immaginando un paese più equilibrato, meno corrotto, più efficiente, in cui la democrazia non sia espressione della forza di qualcuno ma il valore unificante che può dare slancio all’interesse di tutti!
di Roberto Mostarda