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Il re tiranno nell’impietosa descrizione di Vincenzo Cuoco

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Palazzo Reale di Napoli di MM - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2613341. https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_I_delle_Due_Sicilie#/media/File:NapoliPalazzoReale.jpg
Il duro attacco al tiranno, a difesa della “sventurata Sanfelice”, ad opera di Vincenzo Cuoco.

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Sommario
Il duro attacco al tiranno, a difesa della “sventurata Sanfelice”, ad opera di Vincenzo Cuoco. Ferdinando come Tiberio e Filippo secondo: la sventurata non aveva potuto reggere all’idea del massacro, dell’incendio e della ruina totale di Napoli. La sventurata fu decollata senza giudizio.

Scrisse Vincenzo Cuoco (1770-1823):
La vera gloria di un vincitore è quella di esser clemente: il voler distruggere i suoi nemici per la sola ragione di esser più forte è facile, e nulla ha con sé che il più vile degli uomini non possa imitare. Una vendetta rapida e forte è simile ad un fulmine che sbalordisce; ma porta seco qualche carattere di nobiltà. Il deliziarsi nel sangue, il gustare a sorsi tutto il calice della vendetta, il prolungarla al di là del pericolo e dell’ira del momento, che sola può renderla, se non lodevole, almeno scusabile, il vincer la ferocia del popolo e lo stesso terrore dei vinti, e far tutto ciò prostituendo le formole più sacre della giustizia; ecco ciò che non è né utile né giusto né nobile. La storia ha dato un luogo distinto tra i tiranni ai geni cupi e lentamente crudeli di Tiberio e di Filippo secondo, ai fatti dei quali la posterità aggiungerà gli orrori commessi in Napoli… Fu condannata a morte la sventurata Sanfelice. Essa non avea altro delitto che quello di aver rivelato al governo la congiura di Baccher, quando era sul punto di scoppiare. Niuna parte avea avuta né nella rivoluzione né nel governo. Questa operazione le fu ispirata dalla più pura virtù. Non poté reggere all’idea del massacro, dell’incendio e della ruina totale di Napoli, che i congiurati avean progettata. Questa generosa umanità, indipendente da ogni opinione di governo e da ogni spirito di partito, le costò la vita; e fu spinta la ferocia al segno di farla entrare tre volte in «cappella», ad onta della consuetudine del Regno, la quale ragionevolmente volea che chi avesse una volta sofferta la «cappella» aver dovesse la grazia della vita. Non ha sofferta infatti la pena della morte colui che per ventiquattr’ore l’ha veduta inevitabile ed imminente? Eppure, rompendosi ogni legge di pietà, ogni consuetudine del Regno, la sventurata Sanfelice, dopo un anno, fu decollata senza delitto!… Un segretario di Nelson scrivea ad un suo amico a Maone: «Noi commettiamo le più orride scelleraggini per rimettere sul trono il più stupido dei re»… Nelson, quell’istesso Nelson che avea condotto il re in Sicilia, lo ricondusse in Napoli, ma sempre suo prigioniero; né mai, partendo o ritornando, ebbe mai la minima cura dell’onor di lui: giacché, partendo, lo tenne in mostra al popolo quasi uom che disprezzasse ogni segno di affezione che questo gli dava; tornando, quasi insultasse ai mali che soffriva. Egli vide dal suo legno i massacri e i saccheggi della capitale. Poco di poi con suo rescritto avvisò i magistrati che egli avea perdonato ai lazzaroni il saccheggio del proprio palazzo, e sperava che gli altri suoi sudditi, dietro il di lui esempio, perdonassero egualmente i danni che avean sofferti! Tutti gl’infelici che il popolo arrestava eran condotti e presentati a lui, tutti pesti, intrisi di polvere e di sangue, spirando quasi l’ultimo respiro. Non s’intese mai da lui una sola parola di pietà. Era quello il tempo, il luogo ed il modo in cui un re dovea mostrarsi al popolo suo? Egli era in mezzo ai legni pieni d’infelici arrestati, che morivano sotto i suoi occhi per la strettezza del sito, per la mancanza di cibi e dell’acqua, per gl’insetti, sotto la più ardente canicola, nell’ardente clima di Napoli. Egli avea degl’infelici ai ferri finanche nel suo legno… Carlo terzo fece grandissimi beni al Regno: egli riordinò l’amministrazione della giustizia, tolse gli abusi della giurisdizione ecclesiastica, frenò quelli della feudale, protesse le arti e l’industria…

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::autore_::di Giuseppe Stipo::/autore_:: ::cck::1375::/cck::

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