La parola

Integrazione

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La parola che abbiamo scelto è di quelle delle quali si fa uso o abuso verbale e concettuale soprattutto nei momenti di maggior sfilacciamento sociale o politico, nazionale e internazionale!

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La parola che abbiamo scelto è di quelle delle quali si fa uso o abuso verbale e concettuale soprattutto nei momenti di maggior sfilacciamento sociale o politico, nazionale e internazionale!
Se ascoltiamo interventi politici, diplomatici, il termine e il valore di integrazione sembra il verbo catartico, la parola chiave di ogni decisione, soluzione da prendere e via dicendo. Il quadro realistico dice però cose diverse e non confortanti. E questo anche senza scomodare le situazioni di guerra, di crisi interne, di scontri civili che dilaniano molti paesi del globo.
Cerchiamo allora di addentrarci nella parola. Integrazióne deriva dal simile vocabolo latino che si definisce “con influenza” ossia di una cosa che insiste, provoca effetti su un’altra. In senso generico, delinea il fatto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo, aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni; in filologia, inserimento induttivo (per congettura, per collazione con altri codici, ecc.) di una frase, di una parola, di una o più lettere cadute per errore dell’amanuense o per guasto meccanico del manoscritto.
Nel lavoro si parla di cassa integrazione come strumento per “integrare” appunto i mancati guadagni per i lavoratori le cui aziende siano in crisi produttiva ed economica. Nel diritto, l’espressione vuol significare che le parti di un contratto sono soggette non soltanto agli obblighi da esse esplicitamente stabiliti, ma altresì, anche in mancanza di clausole espresse, a tutte le conseguenze che la legge e, in via subordinata, gli usi e l’equità ricollegano al contratto.
Il valore che ci interessa è quello di reciprocità, ossia l’integrarsi a vicenda, l’unione, la fusione di più elementi o soggetti che si completano l’un l’altro, spesso attraverso il coordinamento dei loro mezzi, delle loro risorse, delle loro capacità. Analogamente, in economia, si parla di coordinamento, fusione, concentrazione di imprese, che si può operare sia tra imprese che svolgono la stessa fase di lavorazione, al fine di ridurre i costi o di dominare il mercato, sia tra imprese che svolgono fasi successive della lavorazione di uno stesso prodotto, per dare vita a un solo complesso economico e realizzare così una più efficiente e conveniente organizzazione del ciclo produttivo (i. verticale).
Molteplici sono poi anche gli altri significati, sia letterari che scientifici nei quali l’integrazione dà mostra e senso di sé.
Poi, può anche significare, inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita e il cui opposto è quello che si definisce segregazione (pensiamo all’auspicata abolizione di ogni forma di discriminazione razziale dei neri dai bianchi, come negli Stati Uniti d’America, nella Repubblica Sudafricana).
Nel complesso dei significati più affini, sul piano sociale e politico, si può sottolineare che alla base dell’integrazione, degli sforzi e dell’impegno per realizzarla vi sia sostanzialmente il vecchio adagio “l’unione fa la forza” tanto richiamato quanto negletto nella pratica prevalenza di egoismi, particolarismi e nei casi più gravi della vera e propria discriminazione.
Osservavamo che proprio nei momenti più difficili, quando prevalgono le tensioni e le spinte contrarie si esalta il valore dell’integrazione, del sapersi comprendere, accettare, autolimitare nel rispetto dell’altro, senza prevaricazioni e senza revanscismi!
E’ quel che vediamo nella realtà? Stentiamo a vederne i lineamenti, al di là dell’impegno anche strenuo e generoso di molti. Sembra invece prevalere il bisogno del particolare, dell’allontanarsi, dell’estraniarsi, nel voler marcare la differenza! Senza rendersi conto che la differenza ha senso e produce valore proprio nell’equilibrio instabile tra le differenze, appunto!
Il nostro paese dovrebbe essere il luogo privilegiato per capirlo. Frutto della stratificazione di culture, costumi, stili di vita millenari; erede della grandezza dell’impero e del diritto romano che dopo la conquista assimilava, coagulava, armonizzava e accettava tutte le diversità incontrate nell’espansione. Costruzione ante litteram orientata all’integrazione che cadde però sotto i colpi delle invasioni barbariche, dei popoli che volevano sostanzialmente usufruire del benessere e delle ricchezze di Roma ma che contribuirono soltanto alla distruzione del suo equilibrio.
Oggi, lontani da quei tempi, con una cultura politica e giuridica che ha fatto proprie concezioni ed analisi improntate alla democrazia e al contemperamento delle diversità, dovremmo privilegiare con intelligenza la capacità di accettarsi, di integrarsi, di vivere in equilibrio e rispetto!
Lo spettacolo che appare, da uno stadio di tifosi, a manifestazioni per le strade d’Italia e d’Europa, le parole che esprimono il disagio della gente alle prese con la crisi economica e sociale, lascia spesso attoniti e inorriditi! Il pericolo del terrorismo religioso, poi, non fa che accentuare questo straniamento e la volontà di rinchiudersi, barricarsi, isolarsi! La peggiore soluzione al peggiore problema che nei decenni del dopoguerra sta contaminando le nostre società!
Speranze, poche. Ma far prevalere la volontà di integrare è certamente una risposta più intelligente e prospettica che quella dell’isolamento. Persino nel Medio Evo, nel momento più buio della civiltà occidentale, esistevano idee e volontà di spezzare, far evolvere, far crescere! Ci sono voluti secoli per ottenere un buon risultato. Distruggerlo oggi sarebbe un vero crimine contro l’umanità!

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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1395::/cck::

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