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Doverosa premessa. Non è oggetto del nostro argomentare, come potrebbe apparire scontato, il concetto in questione riferito a problematiche sullo stato delle persone e su orientamenti e scelte.
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Doverosa premessa. Non è oggetto del nostro argomentare, come potrebbe apparire scontato, il concetto in questione riferito a problematiche sullo stato delle persone e su orientamenti e scelte. Quel che ci interessa è invece il senso del termine diversità che ci porta a ragionare di fenomeni sociali e politici che attraversano il paese, ma anche molte altre nazioni europee e nel mondo. Il nostro angolo visuale è il nostro paese e in esso proviamo a trovare qualche indicazione.
Dunque, la parola diversità. In pochi e stringati concetti indica come è ovvio, l’essere diverso, non uguale né simile, come anche, ciò per cui due o più cose sono diverse. In filosofia, è il termine che indica la negazione dell’identità e che, soprattutto nella filosofia scolastica, è usato con riferimento a realtà di genere diverso. Ancora la condizione di chi è, o considera sé stesso, o è considerato da altri, «diverso», nella più vasta e accezione che questo concetto ha avuto nella storia e continua ad avere.
Quel che ci interessa, come dicevamo, è cercare di cogliere i segnali del nuovo, del diverso, nei comportamenti sociali e politici che appaiono nella cronaca quotidiana. Da decenni assistiamo a confronti, scontri, lotte senza quartiere tra chi si presenta e pretende di essere diverso dagli altri, da chi lo ha preceduto. Un sfoggio di diversità fatto di parole, comportamenti, scelte, slogan parole d’ordine e via narrando in un caleidoscopio sempre mutevole!
Dopo il nuovo degli anni sessanta, quello più drammatico degli anni settanta, quello rutilante degli anni ottanta, quello intimista degli anni novanta. Oggi nel nuovo millennio siamo davanti a chi vuole innovare e cambiare la basi stesse dell’agire e delle scelte politiche! E, come sempre accade, tra il serio e il faceto esponenti e sostenitori di questo o quel nuovo, fanno sfoggio di atteggiamenti, comportamenti ed esteriorità che li facciano distinguere, differenziare, notare come portatori della novità!
Che a tutto questo corrisponda poi veramente il nuovo è tutto da dimostrare e soprattutto non è così semplice, tenendo conto della inveterata tendenza all’abitudine dei comportamenti sociali e personali. Tra le molte diversità politiche che sembrano aver contraddistinto lo scenario nazionale, certamente quella che appare “più nuova” è quella del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. I cinquestelle vengono percepiti come qualcosa di nuovo e di diverso per il momento “di per sé” cioè senza ancora l’onere della prova!
Se tuttavia, laddove sono già inseriti in amministrazioni a loro guida (non volendo né apparentamenti né alleanze con alcuno, sono diversi!!) cerchiamo di indicare e sottolineare la diversità ontologica dell’agire e delle scelte, ecco che qualcosa non torna.
Intanto si dovrebbe cominciare, per puro interesse accademico, di studio e analisi, a cercare di delineare quella che è la natura reale del movimento e comprendere le sue linee politiche! E qui siamo già nella confusione totale. Sino ad ora infatti, abbiamo assistito più a condanne, ostracismi, battaglie tra “puri” all’interno del movimento prima ancora che nei confronti dell’avversario, senza che tutto questo abbia portato chiarezza su chi sia e voglia essere il movimento, quali siano le sue priorità, le sue scelte diverse dalla politica tradizionale, le sue fondamenta teoriche e le indicazioni pratiche!
Anche qui, pur lasciando un po’ di tempo, non appaiono segnali chiari e incoraggianti. Apprendisti stregoni si può e si deve essere per divenire poi capaci, ma tutto questo deve sempre poggiare su un terreno solido e rassicurante, su un nocciolo duro di idee e di elementi non modificabili! Si scorge tutto questo: la sensazione è totalmente negativa! Anzi si avverte anche una sorta di conformazione “stellare”, del movimento, una sua “incapacità” di fare sistema che peraltro nasce dalla sua stessa origine, questo sì elemento distintivo!
Il tempo ci dirà che cosa germoglierà da questo nuovo della politica. Ricordando però che, come osservava un filosofo, la rivoluzione è una contraddizione in termini. Una volta avviata deve avere compimento, ma una volta compiuta non è più rivoluzione e deve stabilizzarsi, con ciò provocando la nascita delle basi della successiva rivoluzione che dovrà tentare di scalzarla! E così via senza una fine e necessariamente! Oppure no! Cioè si fa la rivoluzione per cambiare la società o per affermare un potere successivo che poi non vuole essere messo in discussione? La storia, maestra di vita, ci da alcune risposte sulle quali sarà bene riflettere con attenzione, per capire e scegliere, al momento opportuno!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1410::/cck::