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Un segno dei tempi è che la Germania sta sollevando una rivolta contro il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, imposto nel 2014 dal Cancelliere Angela Merkel dopo un forte scontro con David Cameron, l’allora potente primo ministro britannico.
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Roma, 7 Jul (IPS) Un segno dei tempi è che la Germania sta sollevando una rivolta contro il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, imposto nel 2014 dal Cancelliere Angela Merkel dopo un forte scontro con David Cameron, l’allora potente primo ministro britannico.
Il gruppo di Visegrad, formato da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Ceckia, che era risorto dalle ceneri, per diventare una voce anti Bruxelles, aveva chiesto di riportare la Commissione Europea sotto l’autorità degli Stati membri della UE.
Quando Merkel organizzò un meeting dei sei leader fondatori della UE, a Berlino, invitò Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo, ma non Juncker, presidente della Commissione. E fu Wolfang Schäuble, il ministro tedesco delle Finanze, a lanciare la proposta: “è il momento di riportare Bruxelles sotto il controllo degli Stati”.
E’ curioso che il dibattito sulla Brexit ha completamente ignorato l’azione strisciante per porre fine al carattere sovranazionale dell’UE. Ciò che è in corso, infatti, è qualcosa di estrema importanza: la fine dell’internazionalismo ed il ritorno all’ambito nazionale, uno dei frutti della globalizzazione… e Giappone, Cina e Russia sono al culmine del nazionalismo…
La globalizzazione non è un concetto neutrale. La globalizzazione che si impose dopo il crollo del muro di Berlino è stata una camicia di forza tanto forte quanto quella delle ideologie, accusate di aver portato alla seconda guerra mondiale (1939-1945) ed ai 50 anni di guerra fredda.
Quella globalizzazione ha presentato il mercato come l’unica base per la società, con l’eliminazione di ogni barriera nazionale per la libera circolazione di capitali e del commercio ed ha ricusato, come obsoleti, i valori della giustizia sociale, le istituzioni sociali (come il welfare), e lo Stato è finito con l’essere visto come un ostacolo, un problema e non come una soluzione.
I nuovi valori sono stati, ad esempio, il successo individuale sopra ogni altro valore comunitario. Ronald Reagan e Margaret Thatcher cambiarono la direzione del mondo. La Prima ministra britannica (1979-1990) disse: “non esiste una cosa come la società. Ci sono solo gli individui”. Per parte sua, il presidente statunitense (1981-1989) inizialmente voleva anche eliminare il ministero dell’istruzione.
Bene, ora i giornalisti scoprono che la Brexit e Donald Trump (il pre-candidato repubblicano USA) sono il risultato della rivolta delle vittime della globalizzazione. E’ importante notare come questo andare a destra accada normalmente, ad eccezione di pochi casi, come Podemos in Spagna o Bernie Sanders negli Stati Uniti.
Sanders deplora che “negli ultimi 15 anni, circa 60.000 fabbriche e più di 4,8 milioni di posti di lavoro manifatturieri ben pagati siano scomparsi, perché accordi commerciali disastrosi hanno spinto le aziende a trasferirsi in paesi con bassi salari”. Per di più egli ha lottato contro un tabù che né le élites né le correnti principali di economisti avevano mai discusso: il libero commercio è un motore di crescita, e le statistiche stanno lì a dimostrarlo.
Il problema, continua Sanders “è che il lavoratore medio di sesso maschile guadagna ora 726 dollari meno che nel 1973, e quello di sesso femminile 1.154 dollari meno rispetto al 2007. E quasi 47 milioni di americani oggi sono nella povertà. Nel frattempo, la decima parte dell’1 per cento degli americani più ricchi ora guadagna tanto quanto il 90 per cento dei più poveri. Le 62 persone più ricche del pianeta concentrano su di loro tanta ricchezza quanta la metà più povera della popolazione: circa 3,6 miliardi di persone”.
Sanders ci ha posto davanti a un dilemma: “il cambiamento arriverà dalla demagogia, dal fanatismo e dai sentimenti anti-immigrati, xenofobia e populismo, a meno che il nuovo presidente USA non sostenga con forza la cooperazione internazionale che avvicina i popoli del mondo, riduce l’iper-nazionalismo e diminuisce le possibilità di guerra e, soprattutto, sia in grado di proteggere i lavoratori e le lavoratrici, e non solo le élite.”
Quindi il problema non è che la globalizzazione porta la crescita, bensì quello che lo Stato ha lasciato un mercato senza regole e senza redistribuzione. Perché dovrebbero votare per la saggezza comune del sistema coloro che sono rimasti fuori quando ne sono vittime?
Il motore di questo tipo di crescita è stata l’avidità. Ora, il timore evocato da Sanders è già ben installato in Europa. Le migrazioni lo stanno ben alimentando in mezzo a timori di diversa natura, dal terrorismo al cambiamento climatico, dalla cattiva alimentazione al deterioramento dei servizi sociali. E’facile guidare paura e risentimento, e l’Europa lo sa bene, accadde negli anni trenta, e Hitler ci ha lasciato un continente distrutto.
Una sequenza di referendum sta ora affrettando la fine della democrazia.
Nel referendum per la Brexit, ha votato il 70% degli aventi diritto, che significa che il 36% ne ha rappresentato la maggioranza: un cittadino su tre.
Secondo il Consiglio Europeo delle Relazioni Esterne, ci sono 32 referendum indetti in 18 paesi della UE e vi sono 47 partiti politici che condividono posizioni antieuropee. In un terzo dei 28 paesi membri, questi raggruppamenti fanno parte di coalizioni di governo e la loro possibile uscita è una spinta per i partiti tradizionali ad adottare alcune delle loro posizioni.
Le consultazioni popolari assomigliano ad un veto. L’Unione Europea dovrà affrontare una dura sfida con questo processo di “vetocrazia”, la cui vittima sarà anche l’idea di internazionalismo.
L’idea alla base dell’internazionalismo, e più esattamente del diritto internazionale, si basa sull’accettazione del principio e dei valori in base ai quali i cittadini si sentono parte di una comunità e vi partecipano. E’ su questa base che le entità nazionali accettarono di rinunciare a parte della loro sovranità. Sentono che il consenso nazionale si espande sui trattati e gli accordi, che proiettano le loro visioni e i loro interessi in un mondo di cooperazione internazionale.
Il diritto internazionale e la cooperazione furono le nuove idee, che emersero dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Le Nazioni Unite sono risultate lo strumento senza precedenti per la pace e la cooperazione durature. Poco dopo venne l’idea di un’Unione europea, come entità sovranazionale e non solo come organizzazione intergovernativa, come le Nazioni Unite.
Fu sotto forma di foro mondiale che divenne possibile porre sotto un qualche controllo i pericoli della Guerra Fredda ed avviare il processo di decolonizzazione. L’ONU divenne il punto di riferimento per le relazioni Nord-Sud, e per lo sviluppo, la sua filosofia, condividendo il diritto internazionale come strumento per il dialogo, e la giustizia sociale, la partecipazione e la democrazia, sulla base del dialogo e della cooperazione per convertire alla pace duratura e allo sviluppo umano duraturo le nuove conquiste del genere umano.
Tutto ciò andò bene, fino al 1981, al vertice di Cancun, quando Reagan e Thatcher ritornarono all’idea che la democrazia universale era una ingiusta illusione. L’allora presidente degli Stati Uniti chiese agli altri capi di stato, riuniti per discutere su come sostenere la cooperazione perché il suo paese doveva avere gli stessi diritti di San Marino; e propose di ritornare a una politica in cui i paesi avrebbero potuto difendere i propri interessi, senza essere vincolati da principi generali e accordi.
Da allora, l’ONU ha perso la sua primazia. Le grandi potenze portarono via il commercio, uno dei due motori della globalizzazione, l’altro motore, la finanza, non è mai stato a New York, ma a Washington. L’ONU, il foro mondiale, fu lasciato con i soli temi sociali, sempre più irrilevanti. E quando il Segretario generale Boutros Boutros-Ghali (1992-1996) cercò di recuperare un po’ di potere alla segreteria, gli USA posero il veto alla sua rielezione.
Lo stesso meccanismo che ora avviene con Juncker, Boutros-Ghali fu reso un capro espiatorio dall’allora presidente statunitense Bill Clinton (1993-2001), in piena campagna elettorale. L’ONU organizzò l’invasione della Somalia per portare pace e cibo su richiesta degli Stati Uniti, sotto la loro direzione ed il loro controllo.
Ma l’invasione fallì, con soldati americani morti e trascinati per le strade da una folla di persone di colore. Immediatamente, Boutros-Ghali fu considerato il responsabile del fallimento, con gli Stati Uniti che rimasero vittima delle Nazioni Unite. Juncker ora appare come responsabile della Brexit, indicato come tale dalla Germania, la cui politica fiscale e l’imposizione dell’austerità ha disincantato molti di coloro che ora stanno optando per il fuori dall’Europa.
Il mondo post-ideologico, che ha accompagnato la globalizzazione, ha trasformato i partiti politici in macchine di opinione pubblica, orientate a risolvere problemi amministrativi.
La cittadinanza senza visioni è priva di istituzioni, i cui leader politici sembrano più interessati a perpetuarsi negli incarichi, e con strumenti di marketing in cui i sondaggi hanno sostituito il dialogo tra i cittadini. I valori sono scomparsi dal dibattito politico. Le questioni globali hanno cambiato i parlamenti in assemblee sempre più irrilevanti.
Non c’è stata alcuna risposta globale in materia di finanza, con 4 miliardi di dollari in paradisi fiscali, senza un organo di regolamentazione mondiale, e muovendo 40 volte più denaro dell’economia reale di produzione e servizi. Una risposta eccezionale è stata quella globale sul cambiamento climatico, una vera minaccia alla sopravvivenza umana, ma chiaramente insufficiente.
I partiti tradizionali hanno cercato di fermare il loro declino prendendo le bandiere dei nuovi partiti. Il migliore esempio è l’Austria, dove i due raggruppamenti tradizionali hanno cambiato la loro posizione sull’immigrazione, sostenendo che non avrebbero lasciato quella bandiera al populismo. Il risultato è stato la legittimazione della xenofobia. L’estrema destra ha perso per soli 36.000 voti, e potrebbe essere che nelle nuove elezioni decise per le irregolarità compiute ottenga ora la sua vittoria.
Deve rimanere chiaro che in tutti questi anni si è portato avanti un gioco irresponsabile. Quando le cose riescono male è colpa della UE. Quando riescono bene è grazie alle politiche nazionali.
Ma come qualsiasi persona informata sa, è il Consiglio Europeo, in cui sono rappresentati gli Stati membri, che prende le decisioni sulle strategie e le politiche. La Commissione Europea è fondamentalmente l’esecutivo; solo la Banca Centrale Europea, con grande irritazione della Germania, e la Corte di giustizia europea da cui Cameron aveva annunciato che il suo paese, il Regno Unito intendeva recedere, anche prima della Brexit hanno un qualche potere sovranazionale. Tutti gli sforzi degli Stati membri sono stati indirizzati a recuperare quanta più sovranità possibile. E ora siamo obbligati a scrivere in difesa Juncker; se egli si dimetterà sarà per motivi sbagliati.
In ogni caso, dopo di lui, apparirà un altro uomo debole, come è già accaduto.
Nelle Nazioni Unite, il principale candidato alla carica di Segretario generale è Irina Bokova, direttore generale uscente dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, molto meno notevole di tutte le altre donne che sono state candidate.
Allora, per vedere a che punto siamo nel declino dell’internazionalismo, si impegnerebbero gli Stati Uniti a finanziare il 25% del bilancio ordinario delle Nazioni Unite, come fecero all’atto della sua creazione? Potrebbe oggi essere approvata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?
E, infine, sarebbe possibile sottoscrivere il trattato di Roma, del 1947, quando all’unanimità fu approvata la visione di un’Europa unita? I governi avrebbero difficoltà a rispondere. Immaginiamo la gente.
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* Roberto Savio, fondatore e presidente emerito di Inter Press Service (IPS) agenzia di notizie ed editorialista di Other News.
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