Scienza

Il buco nell’ozono si riduce

• Bookmarks: 9


::cck::1460::/cck::
::introtext::

Il volcano Calbucco a sinistra a riposo (foto di Jason Quin) a destra in fase di attività (foto di Aeveraal) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9757750 e https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=39729835
La notizia di questi giorni sul restringimento del buco dell’ozono in Antartide è passata quasi inosservata sui media di mezzo mondo, travolti come siamo da guerre, terrorismo e crisi finanziarie eppure solo una decina di anni fa la stessa notizia avrebbe riempito pagine intere di giornali e ore di approfondimenti televisivi.

::/introtext::
::fulltext::

La notizia di questi giorni sul restringimento del buco dell’ozono in Antartide è passata quasi inosservata sui media di mezzo mondo, travolti come siamo da guerre, terrorismo e crisi finanziarie eppure solo una decina di anni fa la stessa notizia avrebbe riempito pagine intere di giornali e ore di approfondimenti televisivi.
Il buco dell’ozono risale alla metà degli anni ’80 quando venne individuato dalle esplorazioni dell’Antartide con i satelliti che da allora sono diventati lo strumento fondamentale per verificarne l’andamento per questo squarcio, allora di circa 29 milioni di kmq nella stratosfera, ad una altezza che oscillava tra i 15 e i 35 km di altezza, formatosi a causa della riduzione dello strato di ozono, fondamentale, anche se ignorato allora dal grosso del pubblico, per proteggere la Terra dalle elevate dosi di radiazioni ultraviolette emesse dal Sole capaci di produrre tumori alla pelle, danni alla cataratta e pericolosi aumenti di temperatura nel corpo umano, negli animali e nelle piante, insomma un vero disastro ambientale.
Un avvenimento che ha fatto passare intere estati con il naso all’insù alla ricerca del fantomatico buco e c’era chi giurava addirittura di vederlo nel cielo mentre sui giornali di tutto il mondo veniva pubblicato una sorta di bollettino che informava sull’allargamento più o meno costante del fenomeno atmosferico.
Il pericolo era grave anche perché ad essere più esposte erano le zone polari, non solo l’Antartide, ma anche il polo Nord dove la circolazione atmosferica concentrava la presenza di varie sostanze nocive facendo salire i segnali d’allarme perché questo emisfero del pianeta è certamente più densamente abitato e quindi più ad alto rischio.
Oggi fortunatamente apprendiamo dalle fonti scientifiche, che il cambiamento c’è stato ed anche importante: con la densità rilevata di ozono intorno ai 250 Dobson (l’unità di misura dell’ozono presente nella stratosfera) ponendoci a metà strada dal valore di quasi 500 del ’79, quando il problema non esisteva.
Abbiamo la conferma che la ripresa si sta consolidando bene“, nota Susan Solomon del Mit di Cambridge (Usa), veterana del settore, che con i colleghi del Centro nazionale di ricerche atmosferiche di Boulder e dell’Università britannica di Leeds ha pubblicato sulla rivista americana Science i risultati dell’ indagine.
La curva risale decisa come rivelano i diagrammi – aggiunge dimostrando che, quando si vuole, i problemi ambientali si risolvono e il merito va al coraggio del protocollo di Montreal sottoscritto da un sempre maggior numero di nazioni“.
Il documento, presentato già nel 1987, è entrato in vigore due anni dopo, mettendo al bando l’ uso delle sostanze chimiche responsabili della distruzione del gas.
Ci si era resi conto che la combinazione tra ozono, cloro e la presenza delle nubi stratosferiche accelerava l’allargamento del foro nell’atmosfera, insieme a prodotti come il bromo e il fluoro, sostituendoli con prodotti innocui. Una scelta che a distanza di trent’anni ha dato i primi risultati confortanti.
Tutto bene dunque? Non proprio.
Senza voler essere pessimisti, la ricerca condotta prende in considerazione gli ultimi quindici anni, dimostrando come, oltre i prodotti chimici, anche le eruzioni sulfuree dei vulcani possano peggiorare la situazione e qui l’uomo nel bene e nel male non c’entra nulla. Nel 2015 le immissioni del vulcano cileno Calbuco, solo per fare un esempio, hanno fatto risalire notevolmente l’estensione dell’area del buco dell’ozono sull’Antartico.
Sapendo che vulcani attivi a forte impatto ambientale sulla terra sono oltre tremila viene da domandarsi se togliere il Cfc possa bastare.
A noi, semplici uomini della strada, non resta che sperare per il meglio e in un impossibile accordo con i vulcani perché almeno non eruttino almeno tutti insieme.

::/fulltext::
::autore_::di Sergio Lo Martire::/autore_:: ::cck::1460::/cck::

9 recommended
comments icon0 comments
bookmark icon

Write a comment...