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La parola scelta, come molte altre, concretizza diverse modalità e investe diversi ambiti.
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La parola scelta, come molte altre, concretizza diverse modalità e investe diversi ambiti. Sul piano del diritto in cui si stabiliscono regole di comportamento in questioni finanziarie debitorie, o sul piano pattizio – anche tra stati – nel quale si prevede l’intervento di una o più nazioni a fianco di quella colpita da calamità naturali, aggressioni, terrorismo e via dicendo.
L’accezione che più interessa in questo momento tragico per il paese, dopo il sisma che ha colpito il centro Italia, è certamente quella sul piano etico e sociale. Scorrendo il dizionario si evince che in questo ambito indica il rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività sulla base del sentimento di comune appartenenza a essa e di condivisione di un’identità collettiva, e in funzione della coscienza di comuni interessi e finalità da perseguire. Nel dibattito socio-filosofico in atto fra la fine del 20° e l’inizio del 21° sec., si possono distinguere due principali orientamenti teorici in questo tema: il primo è rappresentato dalla teoria della giustizia, il secondo da un approccio postmodernista che si contrappone alle riflessioni sul problema della solidarietà in termini di filosofia morale.
Per Rorty, uno dei maggiori esponenti di quest’ultimo indirizzo, si deve rifiutare il richiamo a «qualcosa al di là della storia e delle istituzioni», all’idea di umanità, o all’ipotesi di una natura umana comune a tutti. Bersaglio polemico della sua critica è «l’universalismo etico secolare» mutuato dal cristianesimo. Nel suo pensiero, la solidarietà deve trascendere le differenze ed estendersi a categorie sociali sempre più ampie. Al contrario, Geras invoca gli ideali della comune natura umana, dei diritti universali e ritiene che ragionando insieme gli uomini possano scoprire ingiustizie e sofferenze evitabili. Proprio su questo terreno si sviluppa un articolato dibattito che parte dalla questione della giustizia.
Nella sua critica all’utilitarismo, Rawls riprende in forma modificata l’idea contrattualistica e sviluppa una propria teoria della giustizia ispirata a Immanuel Kant. Poiché la società crea costantemente delle differenze, sorge il problema di come sia possibile la giustizia nonostante l’ineguaglianza. La soluzione potrebbe consistere nel riconoscimento dei due principi della differenza e delle pari opportunità. L’‘etica della condotta’ di Rawls si impernia intorno al concetto chiave di fairness, cioè l’equità, che può essere definito come correttezza di rapporti tra persone che competono o cooperano tra loro. La fairness, dunque, è anche un presupposto della solidarietà. Il senso di fairness, rafforzato dal rispetto delle regole, fa nascere un obbligo morale ad agire in modo corretto, sicché colui che beneficia dell’azione collettiva senza impegnarsi in prima persona contravviene al requisito della fairness.
Il riconoscimento reciproco delle persone, dei principi di giustizia e dell’obbligo della correttezza sono strettamente legati. Per Habermas nel processo di socializzazione in senso ampio hanno la loro origine comune sia l’identità dell’individuo sia quella della collettività a cui questi appartiene. L’identità non può essere affermata per sé stessa, in quanto dipende da un intreccio di relazioni di riconoscimento. Per tale ragione la prospettiva complementare all’eguale trattamento non è la benevolenza, ma la solidarietà. Poiché giustizia e solidarietà sono interdipendenti, le norme morali hanno la funzione di tutelare sia gli uguali diritti dell’individuo e la sua libertà sia il bene della comunità cui l’individuo stesso appartiene.
Questa breve digressione socio-filosofica vuole inquadrare la situazione che vivono le comunità colpite dal terremoto dove la solidarietà che si manifesta subito con aiuti, intervento di recupero delle vittime, atti di eroismo e di altruismo, semplice condivisione del dolore e delle necessità, deve essere la premessa di una solidarietà che continua, in nome dei valori sopra indicati di appartenenza ad una comunità locale e nazionale. Una solidarietà che deve rispettare le persone e il loro territorio e saper accompagnare la loro volontà di rinascere e di non dimenticare, come anche l’idea di non abbandonare per nessuna ragione la propria terra.
Solidarietà diventa allora sostenere lo sforzo immediato verso una “normalità” possibile e aiuto coerente e lineare per permettere di ricostruire senza scandali, ruberie, truffe o altro armamentario deteriore, proprio per ricordare e onorare nel modo più degno ed alto le vittime e la loro operosità, la loro cultura, la tradizione di luoghi e persone! E, soprattutto, non cancellare per efficientismo o razionalità, non disancorare le comunità dai loro luoghi. Ma rispettare al massimo quel che era per ricrearne le condizioni in una cornice di sicurezza e di prevenzione necessaria per aree da sempre a rischio e sulle quali essa non è stata esercitata con coerenza per molte ragioni, anche antropologiche e fatalistiche, oltreché naturalmente per opportunismi momentanei e bassi ed egoistici interessi del momento. Aspetto questo sul quale sta già indagando la magistratura.
L’antico saggezza dice “non soldi, ma opere di bene”, intendendo il denaro come uno strumento e non un fine, necessario ed utile per realizzare quelle “opere di bene” che in situazioni come quella della quale parliamo non sono soltanto quelle corporali, ma soprattutto quelle che rispettano e rafforzano la volontà comune delle popolazioni di rinascere e rifiorire, pur nel ricordo di chi non c’è più!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1502::/cck::