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Negli anni ’70 la Svezia strutturava una società che in pochi anni sarebbe diventata quella odierna. Nel film-documento ‘Videocracy’ il regista italiano Erik Gandini affronta alcuni aspetti di attualità della moderna società svedese…
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Verso la metà degli anni sessanta furoreggiavano sugli schermi nostrani una serie di documentari rimasti veri cult per cinefili come: ‘Africa addio’ o ‘Mondo cane’ con meravigliose colonne sonore, ma, soprattutto, facevano conoscere a noi giovani mondi sconosciuti che a mala pena avevamo visto in bianco e nero dai tristissimi telegiornali dell’epoca.
Essendo documentari non avevano, per nostra fortuna, la ferrea censura di quegli anni così potevano passare immagini per allora veramente scandalose, non solo per l’argomento che affrontavano, ma, sopratutto, per le immagini assai esplicite.
Tra questi un titolo che per anni rimase una specie di modo di dire tra noi ragazzi fu il film documentario: ‘Svezia, inferno e paradiso’ delregista italianoLuigi Scattini.
Il film, liberamente tratto dal libro omonimo di Enrico Altavilla, raccontava di un mondo idilliaco dove tutto era permesso, fin dalla più giovane età, e dove ciò che per noi era ancora tabù li invece era la normalità.
Ma il film, non era, come poteva sembrare, una esagerazione cinematografica, con il tempo, abbiamo scoperto che non solo era rigoroso nelle tematiche affrontate, ma per certi aspetti era anche premonitore di una società che di li a pochi anni sarebbe diventata la Svezia.
Sono passati quasi cinquant’anni da quella pellicola e un altro film-documento ha fatto discutere ‘Videocracy‘, ancora una volta l’autore è un regista italiano, Erik Gandini, che vive e lavora a Stoccolma da oltre quindici anni, che affronta l’attualità della moderna società svedese.
Ciò che emerge dal film, assai puntuale nelle immagini e nel commento, al di la dell’efficienza e del benessere, è una società disperata.
Le persone vivono isolate nel corpo e nello spirito, una realtà già descritta negli anni ’50 e ’60 dal grande regista svedese Ingmar Bergman in uno scenario almeno per noi latini desolante.
Sempre più donne single, ad esempio, scelgono la fecondazione artificiale, sono circa il 50%, con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio, senza cercare di condividere questo evento con un compagno, in tale società individualistica sempre più anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti.
Si nasce soli, si vive soli, si muore soli come in una poesia di Quasimodo, ma qui non c’è poesia. “Ognuno va per la propria strada ma non c’è nulla che li tenga insieme” annota lo stesso Gandini nel Docu-film.
Un fenomeno talmente drammatico che negli ultimi anni lo Stato ha creato servizi ad hoc che si occupano proprio di tutte le incombenze legali e burocratiche legate alla scoperta di chi muore senza legami sociali o nel completo disinteresse di figli e parenti.
Abbandonato può essere non solo un vecchio ma anche un giovane drogato. Qui la morte è solo un fatto personale dove non è permesso entrare.
In Svezia il 50% dei cittadini vive solo senza nessuno con cui condividere la propria esistenza e una morte che non è da meno, quasi un cittadino su quattro muore in solitudine, abbandonato dai figli. È la teoria svedese dell’amore: un’idea così generale di autosufficienza che arriva a considerare l’amore autentico solo tra estranei o tra sconosciuti.
Una relazione diventa così un peso tanto che sempre meno svedesi sembrano disposti a sopportarla, è la denuncia del film. Non serve nemmeno per avere figli.
“Ho pensato che fosse meglio avere un figlio da sola, ed evitarmi la fatica di trovare un partner“, afferma una donna intervista nel documentario.
A consacrare questa società con lo slogan del partito socialista che prometteva ‘il welfare dalla culla alla bara‘ insomma uno Stato padre-madre che da aiuto a tutti e senza alcuna distinzione.
Il sistema fin’ora ha funzionato, ma la crisi economica, l’immigrazione, spesso selvaggia almeno per un mondo così ordinato ed individualistico associato ad una disperazione giovanile sempre più evidente, sta facendo scricchiolare questo sistema.
A 40 anni dal manifesto sulla nuova famiglia l’utopia svedese si è rivelata una desolante emancipazione regressiva.
Ciò che prima era lasciato al carattere introverso del suo popolo, con l’avvento al potere nel 1972 del partito socialista e del suo leader indiscusso per molti anni, Olaf Palme, questo spirito svedese diventa una piattaforma politica e sociale che in poco più di una generazione ha trasformato l’intero Paese, ma dove i frutti che si stanno raccogliendo solo ora non sembrano essere il massimo della qualità.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::1523::/cck::