All’o.d.g. della politica interna (riforme ed economia) il PD si presenta senza aver superato la dicotomia interna, le destre prive di collante, non rinunciano ciascuna ad un proprio leader, i 5stelle annaspano tra un “ritorno al futuro” ed una struttura partito, che sembra non più rinviabile.
Dopo la sostanziale “morta gora” di queste settimane post feriali, sul fronte politico interno, si stanno riaccendendo i riflettori sui temi più critici: le riforme e la situazione economica. Il premier, lanciato negli impegni internazionali, sta recuperando velocemente le fila del confronto e ha ripreso il duello con i suoi critici e detrattori, fuori e dentro il partito democratico, con il primo atto per così dire istituzionale: la fissazione della data del referendum.
I talk show televisivi stanno riannodando il dibattito sfilacciatosi e le presenze sempre più significative delle forze politiche appaiono evidenti. Si torna dunque in medias res possiamo dire.
Se Atene piange, Sparta non ride! Potrebbe essere questo il motivo conduttore di questa analisi. Nessun partito, nessuna formazione presente in Parlamento, si può dire che goda di buona salute. Il Pd non ha superato la dicotomia interna e anzi l’avvicinarsi del voto sta accendendo le polveri di quanti vorrebbero trasformare il voto in un redde rationem con il premier, per indebolirlo, condizionarlo, e in buona sostanza (anche se non subito) sostituirlo. Un intento che vorrebbe riallacciare le usanze del buon tempo antico, riportando in auge personaggi e linee d’azione che questi anni hanno mostrato perdenti e incapaci di trovare soluzioni adeguate. E’ come se si volesse riesumare la Democrazia Cristiana per poter avere un partito dei moderati! Oltreché storicamente impossibile, anche inutile e dannoso nel tempo presente, troppi gli elementi mancanti del puzzle che ne consentivano l’esistenza. Discorso parallelo agli eredi del vecchio Pci che non hanno mai dismesso la speranza insana di tornare indietro nel tempo!
Si è fatto riferimento ai moderati. La situazione in quel campo statisticamente maggioritario tra gli italiani, ma ormai privo di rappresentanza politica, è la condizione minoritaria assunta dai due “corni della fiamma antica”, Forza Italia e la Lega. Nel primo caso, la scomposizione è arrivata quasi al capolinea e soltanto il riapparire del leader ormai stanco potrebbe riuscire nel tentativo di una ricomposizione almeno capace di affrontare lo scontro politico ed elettorale futuro con una forza parlamentare adeguata (non certo la somma di debolezze nazionali dei due elementi separati). La lotta contro il rinnovatore Parisi, le resistenze della vecchia guardia ogni giorno plasticamente descritte dagli interventi di Brunetta, stanno rendendo arduo lo sforzo comunque in atto di ritrovare un terreno comune con un Salvini proiettato in direzione euroscettica, movimentista-lepenista e sempre meno vicino alla Lega di governo alla quale dovrebbe mirare.
C’è poi il magma di un centro senza coesione dove soltanto l’Ncd di Alfano cerca di trovare un elemento distintivo politico e programmatico che sia una partnership e non soltanto un’affiliazione per rimanere in Parlamento!
Dove però si manifesta il peggiore scricchiolio è nel nuovo, cioè nel movimento cinquestelle. Il dopo amministrative d’inizio estate e i fatti di questi giorni, stanno facendo trasparire una crisi endemica, di difficile decrittazione e, soprattutto, alla quale non basta per ridare unità e slancio il “ritorno al futuro” del guru! Anzi sembra quasi un tentativo estremo di tenere insieme una tela sfilacciata e indebolita, mentre le ragioni della crescita elettorale sono ancora lì per molti versi!
E’ una doppia sconfitta quella che si manifesta e sui cui sviluppi è difficile fare previsioni. Da un lato, il riapparire di Grillo, il suo “sono tornatoooo!” è un’esortazione ai suoi, ma sopra ogni altra cosa, una tortuosa ammissione della necessità della sua presenza per tenere uniti i suoi. Nessuno di capi, capetti, dirigenti, cittadini espressi dal territorio, nelle grandi e medie città, sembra avere la stoffa e la statura di gestire una forza che potrebbe anche aspirare al governo del paese. Chi ha provato a dare un segno, proprio in nome della responsabilità diretta dei cittadini, come ad esempio i sindaci di Parma e di Livorno, è stato messo alla gogna, “espulso” da qualcosa che non esiste se non sul sito web! E, dunque, il guru ha compreso “ora o mai più” per rientrare nell’agone! Mettendo però così la parola fine per molto tempo alla crescita di una vera classe dirigente e manifestando la stessa debolezza che ha portato allo stato attuale Forza Italia!
La seconda sconfitta che, nel tempo, appare quella più foriera di danno (ed è in qualche modo lineare a quanto detto), è il sostanziale “commissariamento” della sindaca della capitale. Non soltanto perché a mantenerla in piedi è l’intervento del capo ma anche perché la decisione sulle Olimpiadi e quella annunciata sulla scelta dell’assessore al bilancio, un ex magistrato, dimostrano fuori di ogni dubbio che l’amministrazione di Roma è eterodiretta. Del resto il pasticcio irrisolto dell’assessore Muraro sta lì a mostrare la difficoltà di una linea chiara e determinata. Il no ai Giochi, indipendentemente dalle polemiche sui costi, sulle ruberie e via dicendo (ad usum propagandistico per tenere alta la reazione dei cittadini che l’hanno votata) è avvenuto non perché la prima cittadina ha chiesto come aveva promesso il parere della città, dopo il confronto con tutte le diverse voci in materia, ma semplicemente dopo una telefonata notturna del guru del tenore “non facciamo scherzi” sul no aprioristico e miope! L’errore su città mai candidate ai giochi è stato soltanto la cartina di tornasole, come la gaffe di Di Maio sul Pinochet venezuelano, della confusione imperante.
Ma ancor più pesante e non certo per la scelta della persona (assolutamente adeguata), quella di un ex magistrato al bilancio. Nel giro di pochi giorni la sindaca Raggi ha dato una chiara manifestazione di dipendenza (malgrado le ovazioni palermitane e le derisioni dei giornalisti). Ha abdicato al primo punto del programma pentastellato: la lotta ai poteri forti. In pratica ha deciso di non giocare la partita eludendo il necessario confronto. Secondo, immaginare che una figura come un ex magistrato possa essere adatta all’assessorato al bilancio (sempre senza riferimento alla persona), significa tornare alla temperie di mani pulite, ossia all’humus dal quale i cinque stelle sono germinati, senza il quale non riescono ad avere collante, ma soprattutto caratterizzazione programmatica chiara ed intellegibile a tutti.
Solo che ormai da molte parti, anche all’interno della magistratura, si fanno forti le voci che reclamano una chiara distinzione dei ruoli e che il sistema giudiziario non può e non deve – per il benessere della democrazia – sostituirsi o supplire ad altri poteri. Se questo è accaduto in un momento di crisi epocale, non può protrarsi all’infinito o perché fa comodo per mascherare un vuoto di idee e proposte realmente capaci di cambiare verso! E’ ora di diventare grandi, potremmo dire!
di Roberto Mostarda