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Escalation nel conflitto perenne tra sciiti, in questo caso Houthi, e sunniti: una bomba, 150 morti e 600 feriti. Nel traffico d’armi che, nel disprezzo di ogni norma civile, alimenta il conflitto, gli USA in prima linea. Ma anche l’Italia ha molto da farsi perdonare.
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Anche questa volta le bombe sono arrivate dall’alto e non hanno lasciato scampo ai partecipanti alla cerimonia funebre di Ali bin Al-Ruwaishan, padre del ministro dell’interno del governo dei ribelli Houthi Jalal Al-Ruwaishan che si stava svolgendo nella parte meridionale della capitale Sana’a.
Oltre 150 morti e quasi 600 feriti il bilancio dell’ennesimo attacco della coalizione a guida saudita che dal 2009 ha scatenato un’offensiva contro le zone controllate dal gruppo tribale denominato Houthi nel nord dello Yemen. Il gruppo appartiene alla galassia sciita e per questo è fortemente osteggiato dall’Arabia Saudita, in un contesto mediorientale sempre più caratterizzato dalle tensioni tra Ryad e Teheran per l’egemonia regionale.
Un conflitto senza quartiere che ha già fatto migliaia di morti obbligando una parte consistente della popolazione a lasciare la propria terra natia per sfuggire alle operazioni di pulizia etnica condotte da entrambe le parti.Una tragedia umanitaria che si aggiunge alla devastazione del meraviglioso patrimonio culturale dello Yemen, uno dei più incredibili dell’intera storia dell’umanità.
La strage dello scorso week-end però è di una gravità tale che ha obbligato Washington, il grande sponsor della dinastia Saud, a prendere le distanze dall’accaduto chiedendo a Ryad di moderare gli attacchi almeno contro le zone densamente abitate da civili. Sull’aiuto americano intanto stanno montando delle polemiche a livello mondiale in quanto negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno ingrossato gli arsenali di Ryad con una tecnologia bellica vietata dalle convenzioni internazionali, come per esempio l’invio di interi lotti di bombe a grappolo e di altri ordigni in grado di esplodere in profondità, rendendo inefficace ogni struttura protettiva, probabilmente gli stessi impiegati nei raid che hanno devastato nel week-end la capitale Sana’a.
Le polemiche sulle forniture militari al regime di Ryad non hanno investito solo gli Stati Uniti. Anche il nostro paese insieme alla Francia e al Regno Unito, ha recentemente venduto armi di ultima generazione all’Arabia Saudita. Un atteggiamento in netto contrasto con le prediche di voler contribuire alla pace regionale e alla lotta contro il terrorismo internazionale.
Dal punto di vista geopolitico il conflitto in Yemen è da inquadrare nella guerra di religione che dalla caduta di Saddam Hussein è esplosa tra Arabia Saudita ed Iran, i paesi più rappresentativi rispettivamente della corrente sunnita e sciita dell’Islam. E se il regime degli ayatollah sta conquistando sempre più influenza in Iraq ed in Siria, i principi sauditi hanno deciso che il confinante Yemen non poteva fare certo la stessa fine.
Per questo da circa un anno e mezzo Ryad ha deciso di contrastare con ogni mezzo l’espansionismo sciita anche a costo di impiegare ordigni vietati dalle coalizioni internazionali. Una lotta a tutto campo che potrà attutirsi solo nell’ambito di un vero piano di pacificazione regionale, in grado di tenere insieme gli interessi strategici dell’una e dell’altra parte.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1577::/cck::