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Burundi, SudAfrica, Gambia: l’impressione è che questo possa essere soltanto l’inizio di un corposo esodo africano dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Una minaccia per i diritti umani delle popolazioni africane
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E’ in corso dal mese di Ottobre, un lungo iter per la fuoriuscita di diversi paesi africani – una sorta di AfricaExit – dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Il tribunale internazionale (CPI) competente a giudicare individui che, come organi statali o privati, abbiano commesso gravi crimini di rilevanza internazionale – genocidi, crimini di guerra, crimini contro l’umanità – fu istituito a seguito della Conferenza diplomatica di Roma il 17 Dicembre 1998.
Diversi sono i paesi africani ad aver annunciato o ad aver avviato la prassi per l’esodo dal tribunale. Un organo internazionale scomodo, per i paesi in via di sviluppo, più esposti a determinate emergenze, ma anche per i paesi occidentali: basti pensare all’uscita dalla Corte Internazionale degli Stati Uniti dopo gli attentati terroristici del 2001.
L’Unione Africana – organizzazione internazionale africana con sede ad Addis Abeda, in Etiopia – ha da sempre avuto un rapporto complesso con la Corte dell’Aia. E tutt’ora sono svariate le parole di odio e di rigetto da parte di alcuni leader africani contro la corte dell’Aia. La prima sentenza dell’Aia fu promulgata contro il militare congolese, Thomas Lubanga Dylo: colpevole di crimini di guerra per aver reclutato e arruolato bambini di età inferiore ai 15 anni e per averli obbligati a partecipare attivamente alle ostilità che hanno avuto luogo nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) dal 1 settembre 2002 al 13 agosto 2003. Si tratta del primo verdetto emesso della Corte Penale Internazionale dalla data della sua istituzione, nel 2002. Al momento il principale fronte africano, posto sotto l’attenzione della Corte dell’Aia, è quello del Sudan. Nel giugno 2015 il leader sudanese Omar al-Bashir, incriminato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, contro l’umanità e per genocidio per le violenze in Darfur (per i quali è rincorso da un mandato di cattura internazionale), ha evitato l’arresto durante una visita ufficiale a Johannesburg.
Allo stato attuale, tra i primi paesi ad avviare l’esodo africano: il Burundi. Il 12 Ottobre il Parlamento del Burundi ha votato, con una maggioranza schiacciante, un piano di ritirata dalla corte penale. Su 110 politici burundesi, 94 hanno votato a favore il piano di ritirata, dopo che il CPI ha annunciato di voler indagare la recente violenza in corso del paese. Il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza, più incline al giudizio divino che a quello degli organi internazionali, ha trascinato il paese fuori dalla corte – “per difendere la dignità degli africani” – definendo inaccettabile l’inchiesta aperta sulle repressioni avvenute prima e dopo la sua contestata rielezione del 2015. Dal momento della sua terza candidatura, ufficializzata Aprile 2015, ci sono state violente proteste di piazza, sparizioni forzate e omicidi: centinaia di morti e 260 mila persone costretta alla fuga. Il leader del partito burundese, UPRONA – Unione per il Progresso Nazionale -considerato illegale dal regime di Nkrunziza, Taziano Sibomana ha dichiarato che: “il Burundi non può uscire dalla CPI, questo Paese ha bisogno della giustizia internazionale per punire i crimini efferati: con il nostro partito stiamo raccogliendo prove delle violenze del regime, che presenteremo entro 12 mesi e che la Corte Penale Internazionale potrà utilizzare”.
Sul versante meridionale del continente nero, il SudAfrica ha comunicato alle Nazioni Unite (anche se la Corte non è dipendente dall’Onu) di voler abbandonare la Corte dell’Aia perché non la ritiene imparziale nei confronti dei paesi africani. Il Sudafrica era stato duramente criticato dalla comunità internazionale per non aver arrestato durante una visita ufficiale Omar al Bashir, il presidente sudanese accusato dalla corte dell’Aia di genocidio e di crimini di guerra. Contro il piano di ritirata dalla corte internazionale, si è espressa la chiesa cattolica sudafricana. In una nota i vescovi sudafricani hanno affermato: “abbiamo appreso con tristezza la decisione del governo del Sudafrica di ritirarsi dalla Corte Penale Internazionale. Facciamo appello al governo di riconsiderare la sua decisione e di rimanere nella CPI fino a quando l’Africa si sia dotata di un’effettiva corte regionale che abbia la capacità e la volontà di chiedere conto a tutti i leader statali, in particolare ai capi di governi in carica. […] Una scelta con conseguenze disastrose in Africa per migliaia di persone vulnerabili che rimarranno senza adeguata protezione di fronte alle violazioni dei diritti umani perpetrate dai capi di Stato in carica”.
Il tassello più recente dell’esodo africano è rappresentato dal piccolo paese dell’Africa occidentale: il Gambia. Il presidente gambiano Yahya Jammeh, al potere dal 1994, accusa il tribunale di perseguitare gli africani.
L’impressione è che questo possa essere soltanto l’inizio di un corposo esodo africano dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Una minaccia per i diritti umani delle popolazioni africane.
Intanto il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki – Moon, ha invitato il Burundi e il SudAfrica a rivedere le loro decisioni.
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::autore_::di Giovanni Capozzolo::/autore_:: ::cck::1630::/cck::