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La convinzione della perdita della supremazia sugli altri popoli del pianeta tra le ragioni della sconfitta delle elite progressiste che non hanno saputo interpretare il malessere serpeggiante tra chi ha sostenuto il peso delle scelte politiche.
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Il ciclone Trump si è abbattuto sugli Stati Uniti d’America e sul resto del pianeta.
Una vittoria inaspettata quella del tycoon newyorchese che, dopo una campagna elettorale all’insegna del politicamente scorretto, ha prima fatto fuori gli altri concorrenti repubblicani e poi si è imposto sulla candidata democratica Hillary Clinton.
Un’affermazione destinata a riplasmare il mondo se verrà dato seguito alle promesse formulate in campagna elettorale: drastico taglio delle tasse, costruzione di un muro di contenimento lungo il confine con il Messico, guerra doganale con la Cina e ritorno in grande stile alle fonti energetiche fossili, con buona pace di ecologisti, pacifisti e sostenitori di uno sviluppo sostenibile.
I primi passi del prossimo Presidente americano, sembrano confermare questa deriva autocratica che si potrebbe riassumere con lo slogan “America First“, prima l’America. Una nazione che avrà nel suo prossimo futuro come consigliere strategico della Casa Bianca Steve Bannon, un alfiere dell’ultradestra, noto divulgatore di idee razziste ed antisemite.
Aldilà degli uomini e degli slogan di facile effetto ed ottima presa su un elettorato stanco e più che mai diviso, la realtà globale con la quale il magnate newyorchese dovrà misurarsi è ormai indelebilmente contraddistinta dal multiculturalismo e da potenze regionali che aspirano a far pesare i propri interessi nelle rispettive aree d’influenza. Sarà difficile dunque per Donald Trump riaffermare l’egemonia statunitense a discapito di tutti e tutto.
Tornando ai motivi che hanno spinto la maggioranza degli Stati della galassia americana ad incoronare il miliardario newyorchese, ci sarebbe proprio la convinzione di una grande fetta dell’elettorato di aver perso la supremazia sugli altri popoli del pianeta. Generazioni di americani che avevano goduto di privilegi assoluti, a cominciare da quelli economici, nell’ultimo decennio hanno avvertito una forte contrazione delle proprie possibilità. Un mutamento dovuto alla globalizzazione che ha portato miliardi di persone negli angoli più svariati del pianeta ad affermare con forza i propri diritti, erodendo inevitabilmente le economie di quei paesi che per cinquant’anni avevano dominato sul resto del mondo.
E’ forse questa la chiave di lettura più corretta per capire questa stagione contraddistinta da un populismo dilagante, in America come in Europa: le fasce sociali più deboli si sentono meno protette e nel segreto dell’urna tendono a privilegiare il candidato più protezionista che si rivolge alla pancia della gente. Una tendenza che deve fare riflettere soprattutto le elite progressiste, le vere sconfitte da queste rivoluzionarie elezioni a stelle e strisce.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1651::/cck::