Il concordare da ambo le parti sulla prima parte della Costituzione non è sufficiente ad ampliare il consenso sugli interventi di modifica. Cambiare si può e si deve, ma le parti sono troppo distanti.
Ogni settimana, fino alla scadenza referendaria, la Rivista Italiani chiederà a due membri della redazione, uno contrario, uno favorevole, di dichiarare la proprio intenzione di voto, spiegandone le ragioni.
In questa settimana confrontiamo le decisioni di due redattori, Valerio Calzolaio, contrario, e Roberto Mostarda favorevole.
Valerio Calzolaio
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Il 4 dicembre 2016 voterò no al quesito si/no relativo al progetto di riforma dell’attuale Costituzione. Ho la memoria di antichi studi di storia e diritto costituzionale italiani e comparati. Ho una consolidata opinione sulla Costituzione predisposta dall’Assemblea Costituente ed entrata in vigore il primo gennaio 1948.
Un buon testo, come struttura stile contenuti. Un testo vitale nella prima parte, aggiornato dalle sentenze della Corte Costituzionale su principi e valori. Un testo oggettivamente “arrugginito” nella seconda parte, che potrebbe essere utile rivalutare con uno specifico mandato (come per l’Assemblea Costituente) e con il voto favorevole di una maggioranza ampia di parlamentari eletti negli anni duemila, quando sarà. Un testo “peggiorato” dalla riforma approvata in questa legislatura, senza mandato e con una maggioranza governativa incapace di allargarsi. Sia la riforma approvata nella XIV° legislatura durante il governo Berlusconi e bocciata con il referendum del giugno 2006, sia il progetto di riforma (per alcuni versi simile) ora sottoposto a referendum non risultano positivi perché non semplificano gli assetti e peggiorano l’equilibrio fra i poteri.
Non ogni modifica sarebbe da buttare, certo, nemmeno nel progetto sostenuto dal governo Renzi. Però, si vota l’insieme delle modifiche e vi sono più contro che pro. Se dovessi dare dei voti: 8+ alla prima parte del 1948, 7- alla seconda parte, 5 alla riforma; un 5 che diventa un 2 considerato che la connessa riforma elettorale riduce ancor più e non aumenta contrappesi e bilanciamento dei poteri. Basta vedere cosa accadrebbe all’articolo 70, erano due righe e diventerebbero 30 (altro che semplificazione)!
La Costituzione dovrebbe servire a favorire che ogni cittadino (“tutti” i cittadini) si riconoscano nel proprio Stato: per questo ci vogliono maggioranze rappresentative non del solo Governo in carica. Il nuovo assetto sarebbe pericolosamente accentrato e maggioritario, escludendo dalla rappresentanza fasce ampie di individui e soggetti collettivi. Il testo del 1948 era fatto per essere duraturo, per andar bene a destra e sinistra, alle generazioni di allora e a quelle successive, con differenti leggi elettorali. Va detto no a chi ha progettato di cambiarlo per ragioni contingenti, in una logica governativa e maggioritaria. I governi cambiano, la Costituzione resta. Il testo della Costituzione (da confermare con il no) non c’entra con la caduta o con la nascita dei governi pro tempore, anche di quelli che durano vari anni.
Roberto Mostarda
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Il mio voto al referendum di dicembre sarà sì. Un sì alle modifiche previste dal testo, ma soprattutto un sì al tentativo per la prima volta condotto con determinazione e senza preconcetti di tentare una reale modifica del sistema paese.
A 64 anni, 45 dei quali da giornalista passati a cercare di comprendere il nostro paese e testimone di tutti i tentativi posti in essere sul fronte delle riforme, ritengo necessario agire sulla leva del cambiamento per avviare un percorso che non si concluderà certamente con il voto e neppure con la vittoria del sì o del no!
Conosco le obiezioni, il mantra di chi si batte per il no, ma ritengo che certe affermazioni siano degne di miglior causa e soprattutto che l’attacco frontale alla riforma – rischio autoritarismo, uomo solo al comando e via farneticando – siano soprattutto un’offesa al popolo italiano, a ognuno di noi, quasi fossimo un paese di babbei e di incapaci.
Oltre quarant’anni di passi in direzione delle riforme hanno prodotto qualche modifica, ma soprattutto interventi incoerenti e non sistemici. E’ di tutta evidenza, analizzando con pacatezza i lavori delle commissioni bicamerali che si sono succedute nel tempo, che il vero obiettivo che avevano questi organismi era soprattutto quello di dialogare senza decidere. Nulla di male, certo, parlare e discutere è meglio che tacere e usare violenza, ma al dunque gli interessi politici e partitici in senso stretto hanno prevalso ogni volta vanificando gli sforzi dei promotori e nullificando l’unico vero valore in gioco: l’opportunità di condividere l’evoluzione della Costituzione nel tempo, la traduzione storica dei grandi principi che ne sono la parte principale ed immodificabile.
Oggi si pone invece l’opportunità di avviare un percorso che può portare il Paese a veder sbocciare proprio quei fiori, cioè quei valori, che la prima parte della Carta fondamentale indica con chiarezza e lucidità straordinarie e che nella seconda parte sono tradotti storicamente e dunque legati al momento ed in concreto modificabili. Ritenere che si tratti di un sancta sanctorum, di un totem che nessuno può toccare, significa tradire proprio gli ideali e gli intenti dei Costituenti che non ci volevano “regalare” un testo da museo o da far studiare a memoria a scuola, ma uno strumento vivo, agile, capace di avvicinarsi al nuovo – si badi bene non di adeguarsi – e di interpretarlo e saperlo inserire nella costruzione della democrazia compiuta.
La riforma sulla quale ci si esprimerà non è né l’ultima, né la migliore. Ha però il pregio inarrivabile di smuovere quella morta gora che è divenuto il dibattito costituzionale e sulle riforme nel nostro paese. E costringe soprattutto a interrogarci su chi siamo realmente come italiani e quale nazione vogliamo davvero costruire nel futuro che ci chiede mutamenti irreversibili e di rimanere nel novero delle grandi democrazie del pianeta. Bene sempre più raro e minacciato, non certo dalle riforme!
Per questo il “no” non è difesa delle istituzioni, ma è conservatorismo allo stato puro, tentativo di mantenere poteri di veto e di deterrenza che nulla hanno a che vedere con il progresso del Paese, ma molto con il mantenimento di forme di potere a molti livelli necessarie per conservare lo status quo all’infinito! Di qui l’intento di frenare, annacquare, diluire portato avanti durante il confronto parlamentare, distruggendo di notte quello che ci costruiva di giorno.
Cambiare si può e si deve. E per cambiare occorre cominciare a modificare qualcosa con decisione. Il “sì” è il primo convinto passo in avanti in questa direzione!
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Il quesito del referendum popolare confermativo della legge costituzionale recante: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”, approvata dal Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. (16A07091) (GU Serie Generale n.227 del 28-9-2016)
La Redazione