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Per capire realmente la Cuba di Fidel Castro bisogna contestualizzarla e analizzare la condizione generale del Sudamerica cinquant’anni fa. Dal Cile di Allende ai movimenti sandinisti centroamericani. E poi in Africa, in Angola.
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Con la morte di Fidel Castro si chiude definitivamente l’epoca straordinaria dei movimenti rivoluzionari internazionalisti. Una storia complessa e controversa quella del Líder máximo, cominciata il 2 gennaio del 1959 con lo sbarco a Santiago de Cuba di un manipolo di ribelli che con una marcia trionfale durata una settimana hanno abbattuto il regime filo-americano di Fulgencio Batista, istaurando un governo popolare che però non è mai riuscito ad evolversi in una democrazia compiuta.
Cinquantasei anni di potere assoluto che hanno modificato per sempre il tessuto sociale della principale isola dei Caraibi, ridistribuendo le terre possedute da un’oligarchia di proprietari terrieri e nazionalizzando le industrie che facevano capo ad imprenditori e multinazionali statunitensi. La revolución ha poi concesso sanità gratuita ed istruzione di buon livello ad un popolo fino a quel momento quasi completamente analfabeta, vissuto in balia delle volontà dei ricchi americani che sbarcavano sull’isola per sollazzarsi.
Al contempo l’utopia di Fidel non ha saputo o voluto rendere veramente liberi i dieci milioni di connazionali, non concedendogli mai la possibilità di decidere il proprio futuro attraverso un trasparente processo elettorale ed anzi incarcerando le voci dissenzienti del paese. Un vulnus che segnerà per sempre il giudizio sulla rivoluzione cubana, incapace di adattarsi ai tempi, vittima di sé stessa e del proprio nepotismo.
Ma per inquadrare correttamente quello che la Cuba di Castro ha significato per l’America Latina ed il mondo intero bisogna contestualizzare il suo viaggio storico. Cos’era il Sudamerica cinquant’anni fa? Un continente dominato da una élite di proprietari terrieri che con l’appoggio dell’esercito ed il benestare della CIA schiacciava abitualmente i diritti della maggior parte della popolazione relegandola ad un ruolo subalterno con un’aspettativa di vita estremamente limitata. Certo, era la stagione della guerra fredda e della grande contrapposizione tra Unione Sovietica e Stati Uniti, con la paura di quest’ultimi che il comunismo si diffondesse in mezzo pianeta, ma l’endorsement senza condizioni offerto da Washington a regimi dittatoriali deve far riflettere sul ruolo che ha avuto la rivoluzione cubana per milioni di persone.
Dal Cile di Allende ai movimenti sandinisti centroamericani passando per le rivolte dei campesinos boliviani e paraguaiani, movimenti popolari che attraverso l’aiuto fornito dall’Avana hanno cercato un riscatto da una vita miserabile. E poi in Africa, in Angola, nazione dilaniata da una feroce guerra civile che vedeva da una parte le milizie dell’UNITA, sponsorizzate dal Sudafrica dell’apartheid, e dall’altra i guerriglieri dell’MPLA appoggiati da Cuba, che con un’incredibile ponte aereo portò uomini e mezzi a sostegno della rivoluzione anticoloniale. Questa era la stagione geopolitica che ha vissuto ed ha saputo forgiare Fidel Castro, un dittatore certo ma dalla parte giusta della storia.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1690::/cck::