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Tracce di una civiltà scoperta in Iran dopo 5000 anni. Le numerose tavolette ritrovate durante gli scavi possono consentire di decifrare la scrittura Elam ed avere così informazioni su una civiltà finora ignorata.
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Oltre cinque mila anni fa si sviluppò una civiltà, nell’odierno Sud ovest iraniano, di grande livello culturale ed economico con una lingua assai complessa. A questa cultura venne dato, per convenzione, dai moderni archeologi il nome di Elam.
Potrebbe essere una delle tante civiltà scomparse solo che questa durò appena un secolo e poi come è apparsa così è scomparsa nelle nebbie della storia e per alcuni millenni nessuno ne ha saputo più nulla.
Per conoscere questo mistero, da alcuni decenni si sta cercando di decifrare le numerose tavolette ritrovate durante gli scavi dove un tempo sorgeva questa leggendaria città. Un lavoro duro e difficile che non interessa solo i ricercatori, ma l’intera umanità, Elam potrebbe aprire uno scenario sconosciuto sulle nostre origini.
“Siamo finalmente sul punto di fare un passo avanti nella decifrazione della grafia proto-elamitica, tra tutte le scritture ancora da decifrare la più antica in assoluto” è stata l’affermazione eccitata di Jacob Dahl, del Wolfson College, direttore dell’Ancient World Research Cluster e responsabile con il suo team di questa affascinate sfida per qualsiasi archeologo.
Penetrare nei suoi reconditi significati è un po’ come afferrare un fantasma che sfugge quando sembra che l’abbiamo afferrato almeno in parte.
Però questa civiltà, di cui nessuno sa più nulla, ha lasciato la sua eredità ad altre civiltà attigue e ciò fa supporre una sua supremazia culturale e sociale nell’area iraniana.
Ora sembra, come ha riferito Jacob Dahl, che questo mistero, dopo decenni di studi di tanti ricercatori, sia vicino alla soluzione, anche se la cautela è d’obbligo.
Per questo dobbiamo ringraziare la tecnologia di uno strumento prezioso come il sistema Rti (Reflectance Transformation Imaging System) con il quale è possibile una rilettura particolareggiata di questi segni muti da millenni conservati su tavolette di argilla presso l’Ashmolean Museum di Oxford e soprattutto il Louvre.
Questo apparato evidenzia le figure dei caratteri a più alta definizione mai realizzata finora con l’inserimento delle tavolette di argilla in un sistema Rti capace di usare 76 luci fotografiche diverse per riprendere ogni solco e ogni angolo delle preziose tavole.
Questa tecnica usa anche sistemi fotografici per contrassegnare la superficie e trasporre i dati in un’immagine composita digitale che delinea per ogni pixel la morfologia e il colore del soggetto analizzato in forma tridimensionale delle superfici e conseguendo un unico documento di più facile lettura.
In questa prima fase, le immagini saranno inviate online presso altri ricercatori, per sfruttare al massimo il potere della ricerca incrociata nel difficile lavoro di decodificazione.
Milleduecento sono finora i segni studiati senza avere alcun punto di riferimento scientifico, se non la caparbia di chi ha voluto assolutamente capire questi segni.
Roba che la celebre stele di Rosetta decifrata da Jean-François Champollion era al confronto uno scherzo.
Non bisogna pensare, ovviamente, che siamo davanti ad un libro stampato e leggere tranquillamente nella nostra lingua dei testi, la situazione è assai più complessa.
Ancora non è stato possibile avviare, ad esempio, una traduzione completa delle tavolette, ma è stato invece possibile comprenderne il senso grazie alla matematica, infatti, i ricercatori britannici hanno ormai compreso interamente il sistema numerico adottato dagli elamiti si può affermare che non si tratta per ora di scritti poetici, ma più semplicemente di registrazioni di proprietà, quantità di raccolti e popolazione, una scrittura in altre parole che si suppone logografica, cioè non poetica, che serviva verosimilmente per le attività quotidiane.
Da altri dati, confrontati con civiltà vicine agli elamiti si possono avviare alcune supposizioni come la loro vita quotidiana in una società prettamente agricola governata probabilmente da una specie di signoria dove a cerchi concentrici si trovavano funzionari, militari e sicuramente sacerdoti, la cosiddetta classe media, e la più numerosa la classe dei lavoratori, trattati a livello di veri e propri schiavi, insomma una società vicina al feudalesimo.
Dalle tavolette si è compreso che i titoli o il nome delle persone più importanti riflettevano il loro status e indicavano il numero di persone che si trovavano socialmente al di sotto. Oltre questo, Jacob Dahl e i suoi collaboratori ha ottenuto informazioni anche rispetto al cibo.
I potenti dell’epoca, come è ovvio, avevano a disposizione per la loro alimentazione yogurt, formaggio e miele, ma anche ovini, capre e bovini, mentre alla classe più bassa veniva riconosciuta una dieta a base di orzo e di una specie di birra allungata con acqua, insomma un regime alimentare poco sopra il livello di denutrizione.
Forse, approfondendo questi studi ci si accorgerà che in fondo al di la delle forme e dei costumi, la società umana anche 5 mila anni fa non è poi cambiata di molto almeno nei suoi fondamenti di chi comanda e di chi è comandato.
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::autore_::di Tullio Serafini::/autore_:: ::cck::1704::/cck::