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Dalla Brexit alle elezioni del 2017 in Olanda, Francia e Germania, passando per il recente referendum in Italia e soprattutto per l’elezione di Trump: no alla crisi dei valori, sì a giustizia sociale, democrazia e partecipazione.
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Le dimissioni di Renzi sono davvero una questione locale? Non vi è dubbio che per fare un referendum su un cambiamento costituzionale ponendo una questione di fiducia su di lui, ha personalizzato la questione al punto che è divenuta sostanzialmente un voto sul giovane Primo Ministro.
Ma se si guarda alla sociologia del voto, si scopre che il NO è pervenuto dalle zone più povere d’Italia. Un caso di studio è Milano. Gli elettori che vivono nel centro hanno votato Sì, quelli della periferia No.
Non è questo ciò che è successo anche con la Brexit, e con le elezioni di Trump? E Renzi è caduto nella stessa trappola di Cameron. Ha indetto un referendum su una questione molto complessa, e scommesso su di esso il proprio prestigio, ma è stato spazzato via da una marea inattesa di risentimento. E Renzi si è lamentato: “Non immaginavo di essere così odiato”…
Questo è importante perché mostra come i politici, anche brillanti come Renzi, non si rendono conto che c’è uno tsunami di risentimento che, pur chiaro da alcuni anni, è stato ignorato dall’establishment, dai media e dalla politica.
Ma alla fine, ognuno pensa alle prossime elezioni in Olanda, a marzo, a maggio in Francia, e ad agosto in Germania, come le date in cui la marea populista, nazionalista e xenofoba continui ad aumentare.
Un enorme sospiro di sollievo c’è stato in tutta Europa, dopo che il candidato dell’estrema destra del Partito della Libertà, Hofer, ha perso contro il candidato del Partito Verde, Van der Bellen, 47% contro 53%.
Ulrich Kleber, un ministro tedesco, ha dichiarato: “[Il presidente statunitense eletto Donald] Trump ha segnato il punto di svolta. La maggioranza liberale è stata respinta.” Nell’ultima riunione dell’Eurogruppo, la proposta della Commissione Europea di consentire un bilancio fiscale flessibile è stata sconfitta sotto la spinta tedesca.
Infatti, secondo gli ultimi sondaggi il Partito della Libertà ha la possibilità di battere la vecchia coalizione di socialdemocratici e democristiani, che ha sempre vinto in Austria fin dalla fine della guerra. E secondo gli ultimi sondaggi olandesi per il 15 marzo prossimo, il Partito xenofobo per la Libertà, gestito dall’ossigenato Geert Wilders, potrebbe raggiungere il 21% dei suffragi, superando il partito per la Libertà e la Democrazia, che otterrebbe il 19%.
In Francia per bloccare la possibile vittoria di Marine Le Pen, alla fine tutti saranno obbligati a votare per Fillon, che si è tanto spinto a destra da essere su molte questioni difficilmente distinguibile.
Infine, in Germania, Angela Merkel ha annunciato che svolgerà una campagna lontana da ogni ideologia, in modo da non accentuare le differenze con l’estrema destra del partito di AfD nelle prossime elezioni nel mese di agosto.
Ciò che sconcerta è che il sistema politico continua a pensare alle elezioni come se fosse condizionato da fattori locali. Chiaramente, Trump poteva essere eletto solo negli Stati Uniti. Ma dovrebbe essere ormai chiaro che ciò che succede è conseguenza della reazione dei cittadini su scala globale.
Ma come possiamo aspettarci che coloro che hanno appoggiato la globalizzazione neoliberista, fin dal 1989, ammettano la loro responsabilità? E’ un segno di questi tempi che il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico siano diventati coloro che chiedono un ritorno del ruolo dello stato regolatore e denunzino che le disuguaglianze sociali ed economiche frenino la crescita.
Il problema è se non sia troppo tardi. A questo punto, sarà estremamente difficile regolamentare il mondo della finanza, soprattutto perché Trump eliminerà le poche norme ancora in vigore, e formerà un gabinetto di banchieri.
Il mercato è stato considerato, per più di una generazione, l’unico attore legittimo nell’economia e nella società. I valori consacrati nella grande maggioranza delle costituzioni, come la giustizia, la solidarietà, la partecipazione e la cooperazione, sono stati sostituiti dalla competenza, l’arricchimento e l’individualismo.
Oggi i bambini in Cina, Russia, Stati Uniti ed Europa non sono uniti da valori, ma dai brand, Adidas, Coca Cola, fra gli altri. I cittadini sono diventati consumatori. In un prossimo futuro, i dati sulla vita, le attività e le abitudini di consumo di ciascun individuo, collegati grazie a internet guideranno sempre più la loro vita.
La robotizzazione della produzione di beni e servizi passerà dall’attuale 16% al 40% del 2040. Basta pensare a quanti conducenti perderanno il lavoro con l’automazione delle automobili. E le persone dislocate dalle fabbriche, costituiscono la crema dei lavoratori e non sono coloro che hanno un lavoro precario e che votano per i populismi.
Un altro argomento passato inosservato è che tutti i partiti populisti sono totalmente contrari a qualsiasi accordo o trattato internazionale. I partiti europei sono contrari all’Europa unita. Trump vuole uscire da ogni accordo esistente. E tutti insieme ritengono che l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico vada contro i loro interessi individuali. Tutti parlano della loro identità nazionale, del loro glorioso passato, e di come sbarazzarsi del multilateralismo e dell’internazionalismo. E’ un dato di fatto che nell’amministrazione Trump il termine “globalista” è dispregiativo. Un globalista è il nemico che vuole legare gli Stati Uniti ad altri paesi ed altre prospettive. Ancora, il partito per l’indipendenza del Regno Unito, l’UKIP, in Inghilterra, il Fronte Nazionale in Francia, e il Movimento 5 Stelle in Italia, fra gli altri, salvo qualche riunione piena di insulti, non sono mai stati in grado di stabilire una piattaforma comune su una questione internazionale, a meno dell’abolizione dell’Unione europea. Ora che Trump ha nominato come suo capo stratega Brennon, che ha annunciato che una parte del suo lavoro è quello di rafforzare i partiti populisti di destra in Europa, sarà interessante vedere come e su quali basi potranno realizzare alleanze, oltre che sull’esclusione dei matrimoni omosessuali e le nascite extra uterine.
Comunque un elemento comune sulle questioni internazionali pur esiste. La simpatia per il presidente della Russia, Vladimir Putin, che è visto come un difensore dei valori nazionali, e l’inventore della “democrazia illiberale”, adottata ufficialmente da Viktor Orbán primo ministro dell’Ungheria, seguito dagli altri membri del patto di Visegrad, tra Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, con Recep Tayyp Erdogan che guarda con benevolenza dalla Turchia. Putin attrae anche sempre più François Fillon, in Francia, Matteo Salvini, in Italia, Nigel Farage in Inghilterra, Geert Wilders in Olanda; ed ora a Trump la spinta finale per la legittimazione di Putin.
Ma ora la questione è se la risposta alla globalizzazione neoliberista scelta dalle sue vittime è organica e adeguata. Saranno in grado di fare ciò che il sistema screditato, in crisi per la globalizzazione, non è stato in grado di fare? E’ questo il punto centrale da considerare.
Se guardiamo al gabinetto che Trump sta assemblando, rimangono molti dubbi. E’ una immagine efficace dire che sarebbe come mettere il conte Dracula a guardia di una banca del sangue. Il candidato a Segretario della Pubblica Istruzione supplica di aumentare l’istruzione privata. Quello per la salute è per smantellare il sistema sanitario pubblico. Quasi tutti o buona parte di loro sono multimilionari. I consiglieri sono tutti provenienti da grandi aziende. E’ difficile comprendere come un gruppo di persone ricche e importanti potrà identificarsi con le vittime della globalizzazione.
I discorsi di Trump contro Wall Street, l’ingiustizia sociale e una vita precaria che gli hanno fatto mettere il broncio, così come ha fatto Bernie Sanders, sono scomparsi. Le aziende produttrici di energia hanno ottenuto la loro più grande crescita in molti anni, grazie al fatto che Trump vuole ritirarsi dall’Accordo di Parigi sul clima, ed ampliare l’uso dei combustibili fossili. Ma allo stesso tempo centinaia di città approvano normative per contenere il cambiamento climatico. E’ impossibile sapere che cosa significherà per il mondo o per gli stessi Stati Uniti. Ma ci sono segnali che si legittimerà l’avidità. Numerosi storici sostengono che l’avidità e la paura sono due principali fattori per qualsiasi cambiamento. La paura degli immigrati è il combustibile principale per la xenofobia. Non c’è da stupirsi, quindi, che il nazionalismo, la xenofobia e il populismo siano in aumento.
Il problema è che il crescente dibattito sulle vittime della globalizzazione, si basa sui sintomi, e non sulle cause. Se ai tempi dell’Unione Sovietica avessimo chiesto ad un passante per strada: “Qual è il paradigma che guida qui la politica economica e sociale qui?”, certamente la risposta sarebbe stata “il comunismo o il socialismo”. Dal 1989, una domanda come questa avrebbe provocato uno sguardo vuoto, mentre noi vivevamo in un uguale paradigma ben delimitato e completamente generalizzato: il mercato, l’eliminazione quanto più possibile dello Stato, del pubblico, e la maggiore riduzione possibile dei costi sociali non produttivi. L’individualismo e la competizione sono fattori di guadagno, proteggere e sostenere la ricchezza, e ridurre il più possibile personale e costi.
C’è un diverso ricambio generazionale. I giovani hanno abbandonato la politica, hanno perso la visione prospettica e sono diventati solo opzioni amministrative sempre più corrotte, e hanno trovato rifugio nel mondo virtuale di Internet. Ma si riuniscono in gruppi, di persone che la pensano allo stesso modo. Se io sono di sinistra, mi unisco ad un altro di sinistra. Non mi unirò mai ad un ragazzo di destra, come avrei fatto nella vita reale. E in questi gruppi emergono i più radicali. Così abbiamo un mondo crescente di giovani radicalizzati e auto-referenti, che hanno perso la capacità di discutere. Quando si incontrano, parlano di musica, sport, moda, ma mai di idee, o di ideali per evitare conflitti e liti. Senza i giovani che vogliono cambiare il mondo in cui vivono, l’ascensore della storia si blocca. E se molte altre tendenze anti-storiche si sommano, scompare la capacità di correggere gli errori e gli squilibri scompaiono.
E’ anti storico bloccare l’immigrazione, quando i paesi industrializzati hanno tutti un tasso di natalità negativo, e la produttività e le pensioni sono in pericolo. E’ anti storico imporre di nuovo tariffe, ridurre il commercio e i ricavi ed aumentare i costi. E’ antistorico accettare che i paradisi fiscali sottraggano il 12% del bilancio del mondo. E’ antistorico eliminare gli accordi internazionali, la cooperazione internazionale, e tornare ai piccoli confini frontalieri nazionali. E’ antistorico che i ricchi diventino più ricchi (oggi 88 persone concentrano la stessa ricchezza di 2,2 miliardi di persone), e i poveri diventino sempre più poveri. E’ antistorico ignorare il problema incombente del clima, per il quale abbiamo già reagito in ritardo. E’ quasi come rompere un vetro di grandi dimensioni, crediamo che sia vantaggioso, perché avremo tanti piccoli frammenti.
Cina, India, Giappone, Russia e ora Stati Uniti, stanno tutti diventando nazionalisti. Quest’ultimo paese ha sempre svolto il ruolo di leader, non senza resistenza, come garante della stabilità mondiale, attribuendosi chiaramente il ruolo di un paese eccezionale. Ora vogliono svolgere il chiaro pubblico destino di pensare solo a se stessi. Trump scoprirà ciò che sarà la deminutio capitis degli Stati Uniti.
Siamo, quindi, in un momento storico. Veniamo da 70 anni di crescita della cooperazione internazionale, dalla creazione delle Nazioni Unite dedicata alla pace e allo sviluppo alla creazione dell’Unione europea basata sulla stessa filosofia, e da un enorme fiorire di patti sul commercio, sanità, istruzione, lavoro, sport, turismo e quant’altro possa unire le persone: una tendenza che ora si inverte. La globalizzazione neoliberista ha spinto tutte quelle tendenze in una direzione specifica e insindacabile: il mercato è l’unico attore e l’uomo non è più al centro della società.
La tendenza verso cui andiamo è chiara, specialmente dopo il 9 novembre: in un mondo di Trumps. Ma sarà questa la risposta ai problemi delle grandi masse che stanno cambiando la loro rappresentanza politica? No, se non discutiamo e non adottiamo un paradigma, condiviso da una grande maggioranza, e torniamo a garantire un’altra volta la giustizia sociale, la democrazia e la partecipazione. E’ così difficile da leggere la storia?
Roberto Savio
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