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Siamo ancora così capaci di condividere realmente noi stessi con l’altro? Siamo davvero consapevoli della nostra identità così come manifestiamo sulle piattaforme social? Viviamo davvero per essere o per apparire?
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“Non abbiamo il wifi, parlate tra voi”, così è scritto spesso su delle lavagnette poste all’entrata di molti locali, dove spesso si respira un’atmosfera calda e conviviale, data anche da questo stile che va così tanto di moda ormai, l’industrial style fatto di sedie vintage, lampadine a sospensione e tavolini quasi tutti diversi. Ogni cosa è avvolta da una luce soffusa che accompagna bene i calici di vino serviti, le risate dei clienti e gli occhi stanchi dei camerieri.
Troppo spesso però si vedono lì, come d’altronde in autobus, in metropolitana, in strada, dei piccoli automi con gli occhi fissi su un display, disincantati e distaccati dalla realtà che stanno vivendo passivamente.
Siamo “nell’era social”. Orbene, tutto è divenuto pubblico, quasi ogni momento o stato d’animo vissuto nella giornata viene condiviso al mondo con foto, aforismi, musica e tanto altro; tutto è spiattellato sul profilo Facebook, Instagram, Snapchat, la nostra opinione in merito a qualsiasi cosa viene twittata in modo istantaneo.
Siamo ancora così capaci di condividere realmente noi stessi con l’altro? Siamo davvero consapevoli della nostra identità così come manifestiamo sulle piattaforme social? Viviamo davvero per essere o per apparire?
Non scomodando gli amati filosofi, qui con “essere” si allude all’identità della persona, alla sua natura, al suo modo di fare ed infine alla sua singolarità e unicità.
Studi scientifici dimostrano che il 30-40% dei dialoghi quotidiani vengono utilizzati per trasmettere informazioni personali mentre circa l’80% riguarda la comunicazione tramite i social network; al contrario, un’indagine più rassicurante, svolta da una squadra di ricercatori israeliani, ha messo in evidenza che i ragazzi adoperando i social network cercano il modo per costruire il proprio successo.
Un utilizzo coerente e non eccessivo di queste nuove piattaforme virtuali favorisce così un miglioramento della vita, facilitando la socializzazione e l’integrazione del singolo nella società, prediligendo la costruzione di una identità al passo coi tempi. Il giusto uso di tali strumenti però è suscettibile all’abuso, creando dipendenza, ossessività e manie di controllo; causando spesso l’isolamento dell’individuo.
Il successo dei social network a cosa è dovuto in realtà? Semplicemente, soddisfano l’esigenza umana primaria di parlare di sé, dei propri stati d’animo, di condividere le proprie idee, rapportandosi comunque ad un lettore; ad una persona fisica “connessa”, localizzata magari dall’altra parte del mondo ma che ha la possibilità di dire la propria, di approvare o meno ciò che è appena stato condiviso. La conseguenza diretta di ciò è quindi l’approvazione di sé dall’altro; il sentirsi riconosciuto e stimato.
Tutto quello che viene pubblicato quotidianamente sui social network è l’immagine che viene data al mondo di sé stessi, si sceglie ciò che si vuole mostrare, sentendosi pertanto protetti grazie a questi display di 5 pollici.
Di certo la vita frenetica e i molti impegni hanno favorito la socializzazione virtuale ma non deve essere dimenticato che per avere delle relazioni interpersonali gratificanti si necessita che queste vengano soprattutto coltivate nella vita reale, frequentandosi e condividendo degli interessi. Quindi, se l’uso dei social confuta l’aderenza alla realtà ci si trova davanti ad una macchina che non sta funzionando in maniera ottimale.
In conclusione bisogna utilizzare i social network nella giusta misura difatti, la chiave di volta capace di liberare l’uomo moderno dalle catene virtuali negative è data ai latini: in medio stat virtus, la virtù sta nel mezzo.
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::autore_::di Miriam Gambella::/autore_:: ::cck::1732::/cck::