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Tutti uniti sul voto, confusione sul dopo

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Ad oltre due settimane dal voto referendario, nel dopo dimissioni di Renzi e nel mutamento (apparente, reale) della situazione politica, ancora si fatica a contraddistinguere linee, scelte prospettiche e idee comprensibili dei diversi attori politici.

Ad oltre due settimane dal voto referendario, nel dopo dimissioni di Renzi e nel mutamento (apparente, reale) della situazione politica, ancora si fatica a contraddistinguere linee, scelte prospettiche e idee comprensibili dei diversi attori politici. Quella incredibile unità di diversi che si era coagulata per il no, rafforzata dal malinteso voluto che il voto significasse mandare a casa il governo (esito favorito dal protagonismo autolesionista dell’ex premier) si è sciolta come neve al sole! Tana libera tutti e di nuovo tutti in lotta contro tutti, anche contro la logica, la propria tradizione politica, il senso dello stato e delle istituzioni.
Perché tutto questo? Perché ognuno pensava al suo dopo e non al dopo del Paese. Passato lo voto, gabbato il cittadino, si potrebbe dire usando un antico detto! In sostanza gli italiani hanno voluto dare credito a quanti dicevano di voler difendere la Costituzione da una riforma non adatta o rischiosa e hanno votato di conseguenza per dare una chance ad un cambiamento più pacato, più riflettuto! Il passare dei giorni sta mostrando l’evidente corda di questa tesi.
Il Pd renziano, subita la botta, sta cercando di ritrovare una sintesi interna peraltro di difficilissima realizzazione. La minoranza infatti, facendosi scudo del no vittorioso, vorrebbe eliminare anche il Renzi segretario e aprire nuove stagioni con vecchi protagonisti. Non ha però i numeri come non li aveva prima e quindi resta sempre affascinata da possibili uscite non uscite dal partito in perenne squilibrio! Ed è partita la caccia al possibile nome da contrapporre all’ex premier. La componente maggioritaria del partito vive oggettivamente il risultato del voto ma allo stesso tempo cerca una via di uscita all’impasse pur non sapendo quale ruolo vuole avere o riservarsi lo stesso Renzi. Le sue dimissioni coerenti alle premesse dal governo infatti sono la premessa evidente all’obiettivo di riprender il controllo del partito e detenerlo per le successive pagine politiche che attendono il Paese e lo stesso Pd. Insomma molte troppe idee da parte dei protagonisti e ancora confuse.
Il nodo più grande è costituito però da quanto accade nel movimento cinquestelle, soprattutto alla luce del pesante smacco e della pesante ipoteca della vicenda di Roma. I sondaggi parlano di possibile vittoria nazionale, continuano a dare Grillo e i suoi in ascesa politica, ma la pagina drammatica della capitale sta producendo frutti avvelenati mostrando l’assenza di una vera classe dirigente, ancorché giovane e alle prime armi. Anzi le lotte intestine, il richiamo continuo a palingenesi che sarebbero l’elemento distintivo del movimento, dimostrano grande confusione. Parlare, urlare, battersi per rinnovare richiede un disegno preciso e non soltanto la furia di abbattere. Nel dopo, in mezzo alle rovine, qualcosa bisogna fare e non si può decidere alla giornata che è quello che sembra accadere sia a livello romano che nazionale. La prima linea dei dirigenti, poi, ognuno contro l’altro armati per puntare alle poltrone più alte, manifesta un sostanziale vuoto strategico e di riconoscibilità politica. Nessuno è mai riuscito, neppure all’interno, a dire con chiarezza se le posizioni del movimento sono di destra o di sinistra, come molti cittadini cercano di capire o al contrario di che posizioni si tratti. E si avverte la crisi del leader, la sua difficoltà nel riprendere il bandolo. Non deve infatti confondere il solito ricorso all’urlo o all’invettiva: la crisi c’è e si vede! E le vie di uscita sono ancora tutte da immaginare.
Nel mare magnum di questa situazione, di aspirazione al voto, di ammucchiate su qualsiasi legge elettorale possa condurre al voto subito, si intravede chiaramente anche lo spappolamento del centrodestra. Lo diciamo da tempo e i fatti sono davanti a noi: la leadership dell’ex cavaliere è sempre più difficile, la sua capacità di riunire gli opposti mostra la corda e, soprattutto, si avverte l’insofferenza dei colonnelli e dei vari potentati ancora esistenti. Discorso che vale per Forza Italia, ma anche per gli altri pezzi: la Lega e Fratelli di’Italia. Che cosa possa unire nella realtà e non nell’immaginario, Salvini con la Meloni e con Brunetta, non è dato sapere ancora e per molto. Il collante anti Renzi e la paura di Grillo non sembrano sufficienti come molte posizioni populiste contrastano con la volontà di tornare al governo del paese. Il progetto moderato non si intravede e forse non esiste più e spinte e controspinte rischiano di far deflagrare ogni tentativo di accordo elettorale, di cartello dell’area.
In sostanza, guardando con occhio disincantato alla situazione del paese, la sensazione è che il dopo referendum ci lasci in un mare di rovine comunque, come dopo l’eruzione del Vesuvio e la distruzione delle città campane, Pompei in primis! Un paragone certamente eclatante, tuttavia realistico. La caduta del governo e il suo rimpiazzo a fini elettorali non sono paragonabili alla distruzione vulcanica, ma la sensazione dei detriti sulla strada delle riforme appare molto simile! E mostra con evidenza che la sicurezza del dopo, della stagione delle riforme pacate propagandata dai fautori del no, altro non era che un battage elettorale. Nessuna unità di intenti, nessun disegno immaginato di riforme esiste ed esisteva. Quindi si è andati al voto cavalcando un no contro il governo e il suo leader, di riforme non si è mai parlato seriamente e quanto vediamo porta molta acqua al mulino di questa triste e rischiosa analisi e allo scenario che abbiamo descritto: ora tutti vogliono votare, ma per che cosa è ancora da comprendere!

di Roberto Mostarda

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