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La finora confusa politica estera del presidente turco Erdogan sembra ormai essersi assestata a seguito dell’alleanza con la Russia di Putin. Ma molti restano i nemici interni ed esterni.
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La terribile strage del 31 dicembre avvenuta alla discoteca Reina di Istanbul che ha lasciato sul terreno 40 vittime e quasi 100 feriti ha chiuso nel peggiore dei modi l’annus orribilis della Turchia. Un attentato rivendicato dallo Stato Islamico che ha giurato vendetta nei confronti del presidente Erdogan e della sua politica di riavvicinamento alla Russia. Un voltafaccia che promette di fare sentire la propria scia di morte ancora per lungo tempo nel paese della Mezzaluna.
La riconquista di Aleppo da parte dell’esercito di Bashar al-Assad e l’offensiva dei militari turchi contro la roccaforte del califfato di al-Bab, nel nord della Siria, rappresentano il segnale definitivo del riposizionamento di Ankara nei confronti dei principali attori dei conflitti che insanguinano la regione. Aver lasciato al proprio destino i ribelli islamici – che per quattro anni hanno tenuto testa al regime di Damasco nella principale città del nord del paese – e la potente offensiva per creare una zona cuscinetto a ridosso del proprio confine meridionale sono segnali di una politica estera schizofrenica, capace di passare in poco più di sei mesi dal supporto deciso alle formazioni islamiche ad un’alleanza con il principale nemico del califfato: la Russia di Vladimir Putin.
Le ragioni che hanno spinto il compassato presidente Erdogan ad un cambio di strategia così clamoroso sono da ricercare nel fallito golpe di luglio e nel ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nello stesso, nonché nel supporto dei servizi di intelligence americani alle milizie curde che combattono a cavallo tra Siria e Turchia. Da quei fatti di mezz’estate il “Sultano” ha capito chiaramente che la sua politica di islamizzazione del vicino oriente aveva i giorni contati, troppi i nemici interni ed esterni che avrebbe dovuto combattere ed allora ha optato per una svolta copernicana della sua visione strategica. Una decisione che però si sta scontrando con le centinaia di cellule del Califfato che da anni si sono insediate in Turchia e che promettono vendetta nei confronti della leadership del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP).
Per la Turchia, dunque, l’ondata di attacchi terroristici potrebbe essere solo agli inizi, vista anche l’inadeguatezza dei servizi segreti di Ankara, gravemente indeboliti dalle purghe volute dallo stesso Erdogan nei confronti degli ufficiali sospettati di appoggiare il predicatore Fetullah Gulen, additato come responsabile dei fatti di Luglio.
In questa fase critica, solo due fattori potrebbero consentire al presidente Erdogan di sopravvivere sia fisicamente sia politicamente ai prossimi mesi: l’insediamento alla Casa Bianca del neopresidente Donald Trump e un atteggiamento comprensivo di Putin. Il presidente russo infatti ha tutto da guadagnare dal nuovo asse con Ankara, a cominciare dagli accordi commerciali nel settore energetico che dovrebbero consentire a Mosca di portare a termine il grande progetto South Stream e la sua variante TGI per portare gas in Europa bypassando l’Ucraina. Una scommessa che, comunque andrà a finire, farà scorrere ancora fiumi di sangue innocente nella regione.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1770::/cck::