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Secondo l’INGV, il suolo presso i Campi Flegrei si starebbe rigonfiando: si pensa ad una risalita di magma, che potrebbe provocare la violenta esplosione della caldera vicino Pozzuoli.
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Pensavamo di averle viste tutte in questo primo breve squarcio del nuovo anno, come il terremoto che non finisce mai nelle terre già martoriate dell’Appennino, a cui si è aggiunto anche il maltempo con una nevicata che non si ricordava a memoria d’uomo. E per non farsi mancare niente, gli esperti hanno confermato che potrebbe essere in arrivo un altro terremoto, purtroppo non sappiamo quando, ancora più devastante, addirittura del settimo grado della scala Richter.
Davanti a questa situazione da film dell’orrore è passata in secondo piano, anzi quasi scomparsa dai media, un’altra situazione di emergenza che se dovesse avvenire farebbe impallidire quella odierna: l’esplosione della caldera presso i Campi Flegrei, vicino Pozzuoli, un’ampia conca di forma circolare tra le zone più rigogliose della regione.
L’allarme è stato lanciato dall’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e vulcanologia) lo scorso anno quando è stato rilevato che il suolo dell’intera area si stava rigonfiando, facendo ipotizzare che il magma stava risalendo alla superficie, determinando un innalzamento delle temperature che in breve potrebbe raggiungere il punto critico di non ritorno oltre il quale la risalita del magma e dei suoi gas renderebbe instabile tutto il sistema, e allora l’esplosione diviene una conseguenza certa.
Ricordiamo che è una zona tutta vulcanica dove non c’è solamente il Vesuvio o il misterioso Marsili, il vulcano inabissato nel Tirreno di fronte proprio la Campania.
Gli scenari che si potrebbero verificare davanti a questa eventualità sono una violenta eruzione oppure una dilatazione della viscosità del magma e, quindi, la fine della sua risalita, lasciando però una situazione instabile nel terreno che diverrebbe soggetto ad altri ulteriori smottamenti.
Certo, fanno osservare gli esperti, i fenomeni sono ancora minimi e una eventuale eruzione non è da considerarsi imminente, ma osservando i segnali bisogna intensificare la sorveglianza del fenomeno. Il magma infatti è già risalito circa a 4 chilometri dalla superficie, la stessa profondità alla quale risale l’ultima eruzione nel 1538, detta del Monte Nuovo.
“Il possibile avvicinarsi del magma alle condizioni di pressione critica – spiega ancora Giovanni Chiodini, coordinatore della ricerca insieme alle università di Palermo, Roma Tre e Savoia in Francia – può spiegare l’attuale accelerazione delle deformazioni del suolo, il recente incremento delle scosse di terremoto e l’aumento dei gas più sensibili agli incrementi di temperatura”.
Questa caldera vista dall’alto – con un diametro di 12 chilometri che si sviluppa metà a terra e metà nel golfo di Pozzuoli – sembra un’innocua area vulcanica come tante, ormai addormentata anche se costellata da bocche eruttive, coni e fumarole. Comunque, se gli antichi greci e romani collocavano qui l’Averno, cioè la porta dell’inferno, una ragione probabilmente c’era fin d’allora. La sua storia, infatti, ha qualcosa di veramente inquietante, tanto che nel 2012 l’allerta è stata innalzata da verde a gialla (livello alto di attenzione).
Senza fare allarmismi, ricordiamo che circa 39mila anni fa questo piccolo territorio provocò l’eruzione più potente mai vista sul pianeta addirittura negli ultimi 200mila anni, che ricoprì con le sue ceneri l’intera Europa giungendo addirittura fino alla odierna Mosca, altro che le eruzioni del Vesuvio.
Le conseguenze furono drammatiche perché con le sue spesse ceneri bloccò per ben due anni i raggi del Sole, determinando così un “inverno vulcanico” e per alcuni contribuì addirittura all’estinzione dell’uomo di Neanderthal.
Per le 500mila persone che vivono nel bel mezzo della caldera, i segni di irrequietezza non sono da prendere sotto gamba. Infatti, dopo l’eruzione già accennata del Monte Nuovo, la caldera si è affondata leggermente, ma è tornata ad alzarsi agli inizi del 1950 fino allo straordinario bradisismo agli inizi degli anni ’80, arrivando a sollevarsi per due metri nel 1985 causando l’evacuazione degli oltre ottantamila cittadini di Pozzuoli.
Dopo un periodo di stallo del territorio, dal 2005 il suolo ha cominciato a rialzarsi di 40 centimetri, un movimento tellurico seguito attentamente dai satelliti Cosmo Sky Med e dall’Istituto Irea del Cnr che analizza i dati insieme alle stazioni di monitoraggio dell’Ingv segnalando una successione di terremoti di bassa intensità a conferma che il “mostro di fuoco” potrebbe risvegliarsi.
Dichiarò all’agenzia Reuters qualche anno fa Giuseppe De Natale, il direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, il più antico e celebre centro di ricerche sui vulcani del mondo: “Sarebbe come l’arrivo di un grande meteorite. Un’eventualità tanto rara quanto catastrofica”. A questo punto possiamo solo incrociare le dite o fare altri gesti apotropaici sperando che il vulcano abbia voglia di dormire almeno per altre migliaia di anni.
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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::1801::/cck::