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Chiuse le frontiere negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da sette paesi musulmani: Iran, Iraq, Siria, Libia, Yemen, Somalia e Sudan ed una politica finora tutta all’insegna di un protezionismo esasperato.
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Dopo l’ordine esecutivo del presidente Donald Trump di vietare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da sette paesi musulmani, un ampio fronte di protesta si sta coalizzando per fermare la deriva autarchica ed antistorica decisa dall’inquilino della Casa Bianca.
Dalle Nazioni Unite all’Unione Europea passando per il fronte interno, la decisione del magnate di New York è stata aspramente criticata e condannata come “illegale e malvagia” nonché fortemente controproducente per gli interessi degli stessi Stati Uniti. Dopo il bando deciso da Trump centinaia di persone provenienti da Iran, Iraq, Siria, Libia, Yemen, Somalia e Sudan, sono state fermate negli scali del paese dove erano appena atterrate e fermate dalle forze di polizia.
Alcuni procuratori federali però hanno deciso di impugnare la decisione della Casa Bianca in attesa che vengano esplicitati meglio i regolamenti del decreto presidenziale, dando luogo ad un’impasse legislativa del tutto anomala per gli Stati Uniti d’America.
Quel che è certo è che l’inizio della presidenza Trump si sta rivelando all’insegna di una durezza ben aldilà di ogni aspettativa che l’eccentricità del personaggio poteva farci presumere. In poco meno di due settimane dall’inizio del suo mandato il tycoon di New York ha inanellato una serie di decisioni che promettono di incidere fortemente sull’immagine dell’America nel mondo. Dalle nomine alle più alte cariche del governo che hanno premiato figure tra le più conservatrici del paese, alla decisione di costruire un’ampia porzione di muro sul confine tra Stati Uniti e Messico, i cui costi verrebbero addebitati al governo centroamericano, la politica di Trump è finora tutta all’insegna di un protezionismo esasperato.
Uno scenario del tutto inatteso da parte degli stessi politologi a stelle e strisce che avevano ipotizzato un ammorbidimento dei toni dopo la campagna elettorale ed una presidenza che, nel solco della tradizione, potesse rappresentare tutti i cittadini. E invece “The Donald” sta sorprendendo tutti con decisioni che rischiano di stravolgere il sistema di relazioni internazionali che dalla Seconda Guerra mondiale aveva contraddistinto il ruolo della più grande potenza planetaria.
Una deriva autarchica che sta irritando gli ambienti più liberal del paese che, prima in ordine sparso e poi in maniera più coordinata, stanno cercando di porre un freno alle politiche del neo presidente. Su questo fronte si segnala la pioggia di critiche che sta arrivando dalla Silicon Valley, con i principali leader delle aziende tecnologiche del paese pronti ad intervenire per fermare il miliardario newyorkese. Un gotha di intelligenze e di potere economico che se effettivamente scenderà in campo potrà fermare Trump, rilanciando al contempo lo spirito d’apertura statunitense, una Nazione costruita da immigrati come d’altronde lo è stata la stessa famiglia del leader americano.
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::autore_::di Diego Grazioli::/autore_:: ::cck::1811::/cck::