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Il significato più comune del termine richiama certamente gli aspetti legali dell’istituto che nelle leggi e in giurisprudenza connota e regola rapporti sovente di natura patrimoniale o contrattuale.
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Il significato più comune del termine richiama certamente gli aspetti legali dell’istituto che nelle leggi e in giurisprudenza connota e regola rapporti sovente di natura patrimoniale o contrattuale.
La parola ipotèca, tuttavia assume anche altri e interessanti valori sui quali proviamo a soffermarci. Come sempre la sua derivazione diretta in italiano è dal latino hypotheca, che a sua volta discende dal greco ὑποϑήκη (ipoteka), parola affine alla forma verbale ὑποτίϑημι (iupotitemi) che delinea il senso di «mettere sotto, impegnare». Immediata come dicevamo la sua validità nel diritto e nel linguaggio giuridico dove indica un diritto reale di garanzia costituito a favore di un creditore su beni immobili o mobili registrati del debitore (o di un terzo che lo garantisce), al fine di assicurare con la vendita forzata dei medesimi l’adempimento di un’obbligazione conseguente a un accordo fra le parti se volontaria; oppure legale o giudiziale conseguenti rispettivamente a un’espressa disposizione di legge a tutela di crediti particolari, o a un procedimento giudiziale. Di derivazione locale, come nel dialetto toscano, si dice dare o mettere un’ipoteca su un oggetto nel senso di impegnarlo presso un usuraio o al monte di pietà. Uno status che indica anche il tenere qualcosa in ipoteca o anche il metterla, accaparrarsela, assicurarsene il possesso prevenendo altri.
Quel che ci interessa ora è però l’impiego della parola che si fa di frequente anche nel linguaggio politico e giornalistico, soprattutto per indicare un diritto o un condizionamento avanzati da un partito o da un gruppo di potere su posti o cariche importanti della vita politica, economica, culturale del paese.
E siamo al nocciolo del ragionamento. La vita politica del nostro paese, infatti, più di altri, sembra da sempre condizionata da forme varie e differenziate di questa forma di “impegno” o di “peso” che grava sulla sua evoluzione.
Nel dopoguerra, soprattutto, abbiamo assistito al susseguirsi di una serie di “ipoteche”. Prima quella dei blocchi, della guerra fredda, più propriamente l’ipoteca sovietica. Poi a quella che, nella collocazione atlantica, si è manifestata come conventio ad excludendum nei confronti del Pci. Ancora la presenza del più grande partito comunista occidentale ha ipotecato politicamente l’evoluzione della prima repubblica. La fine di quest’ultima tra gli scandali e le inchieste di mani pulite ha fatto apparire quella che sembra essere la più pesante ipoteca ora rilevabile, ancorché legata alla sacrosanta lotta contro criminalità corruzione e malaffare: l’ipoteca giudiziaria.
La magistratura fa il suo lavoro, intercetta e sanziona i comportamenti illeciti, persegue o cerca di perseguire responsabili, mandanti ed esecutori di disegni criminosi. Quel che spesso appare però, soprattutto in ambiti vicini alla politica è l’emergere di azioni, indagini, ipotesi di reato che sembrano seguire non soltanto il calendario giudiziario, ma anche le evoluzioni politiche. I giudici e gli investigatori, cioè, si trovano spesso a dover dare corso ad indagini la cui origine viene da questioni che la politica e i suoi attori hanno deciso di far passare per le aule giudiziarie! Un’ipoteca, dunque, non della giustizia ma della politica su se stessa portata avanti con la mani del sistema giudiziario che, giustamente, non può poi fermarsi ai sospetti, alle apparenze, ma seguire il suo corso. Molte carriere politiche in questi anni sono finite attraverso queste maglie e ne sono uscite devastate o finite!
Se guardiamo alla politica in senso stretto, poi, il costume che sembra emergere in questi anni è quello dell’aut aut, della minaccia, del condizionamento trasversale (anche all’interno della stessa forza politica). In sostanza, invece di privilegiare il dialogo anche aspro, il confronto delle idee e dei programmi, molto, troppo spesso, assistiamo ad arroccamenti ideologici o di interessi di parte che minano la dialettica aperta e democratica che dovrebbe essere il sale della vita politica. E con ciò, oltre ad imbastardire il sistema così come disegnato dalla Costituzione, si svilisce e si avvelena ogni passaggio, soprattutto quelli nei quali si renderebbe possibile una reale evoluzione e un reale progresso per il paese.
Di questa gretta e miope visione abbiamo avuto e abbiamo ogni giorno manifestazione nelle convulsioni che hanno interessato il Pd, le sue faide interne, la scissione condotta da alcuni vecchi esponenti dell’ex Pci (non tutti peraltro) a dimostrazione di quanto l’accaduto abbia motivazioni altre dalla chiarezza politica che si gabella “nell’interesse del paese”, come usa dire con frase abusata che non incanta più nessun cittadino italiano!
Di veti, ostracismi, diktat, ipoteche insomma sembra fatta anche la realtà delle altre forze politiche. Pensiamo ai cinquestelle, dove ogni azione, decisione, opinione vive sotto l’ipoteca del guru. Ma anche nel centrodestra dove il dibattito sembra bloccato dalle ipoteche dell’una parte sull’altra, senza una reale analisi di cosa ancora i moderati italiani (la maggioranza del paese nonostante tutto) vorrebbero a rappresentarli con i loro interessi, aspirazioni, idee e desideri di un paese normale. E, soprattutto, non “ipotecato”!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1893::/cck::