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Una città del Nord a circa 300 chilometri d’auto da Genova. Quando Antonio Maria Cotroneo telefona al Centro Antiviolenza la donna che risponde non lo prende nemmeno in considerazione, le pare un’autodenuncia quel quadro di maltrattamenti cui lui accenna.
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Una città del Nord a circa 300 chilometri d’auto da Genova. Quando Antonio Maria Cotroneo telefona al Centro Antiviolenza la donna che risponde non lo prende nemmeno in considerazione, le pare un’autodenuncia quel quadro di maltrattamenti cui lui accenna. Sarebbe il primo caso segnalato di un uomo che subisce violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica dalla moglie. Lui non fa in tempo a spiegare, spegne il telefono rubato e cerca di disfarsene. È terrorizzato. La moglie controlla completamente la sua vita, non ha più conoscenti, amici, parenti. Tonino era stato un bravo maestro di taglio e cucito, aveva sospeso gli studi di Giurisprudenza ed ereditato l’ottima sartoria per uomo quando il padre era morto per arresto cardiaco. All’università aveva conosciuto la splendida, avvenente, formosissima e alta (venti centimetri più di lui) Maria Antonietta Salvatores, ne era stato soggiogato. Lei lo chiamava Pupo e rifiutava rapporti sessuali prematrimoniali. Si sposarono, lui gestiva l’atelier, lei divenne commissario di polizia. Emerse presto un problema: la moglie si mostrò sessualmente insaziabile, sempre pronta, più volte al giorno, ad accogliere nel suo seno quel marito di piccole dimensioni generali e a urlare prima degli orgasmi: “vola via tempesta, non turbar molesta, del piccin la nanna…”. Lui non regge i ritmi (né arriva il figlio a salvare la coppia), s’incupisce, soffre sempre più di claustrofobia, ha una scappatella con un’impiegata (solo 19 brevi rapporti sessuali in 6 mesi), lei lo scopre e lo rinchiude in una minuscola cella di rigore con musica a tutto volume. Ne esce davvero malato, diagnosi di patologia fobica grave, deve restare a casa a cucinare, pulire, rammendare; la moglie si porta nel letto agenti che la soddisfino mentre fuori fa carriera. Antonio Maria proverà di tutto e di più per uscirne, un po’ come il coyote che insegue forsennatamente Beep-Beep.
Completata l’opera dei sei romanzi sulla milanese casa di ringhiera (2011 – 2016) l’ottimo scrittore toscano Francesco Recami (Firenze, 1956) inizia una nuova serie di favole (incubi) noir, all’inizio come a tentoni, via via più sciolto e coerente, in terza fissa sul resistente maschio. La struttura è una parodia umana dei duelli animali a fumetti (citati in più occasioni nei pensieri del protagonista, che si identifica), non solo Wile E. Coyote contro lo struzzo velocissimo, anche l’affamato gatto Silvestro contro il furbo canarino Titi, lo schema consueto del più forte in vario modo beffato nella cattura del più debole, dove però qui il sesso forte è predato, manipolato, torturato. Nonostante tutto, finiamo per stare dalla sua parte, l’insulso Antonio Maria subisce angherie verbali, farmaci annichilenti, punture e tatuaggi di prova, comunque mantiene vertici d’immaginazione e tenta ogni strada per fuggire: ardite evasioni, omicidi perfetti, suicidi spericolati, più volte, in ogni modo possibile viste le condizioni date di prigionia. E, come nei fumetti, basta talvolta un piccolo accidente del caso per fallire, non per farlo demordere. Siamo in piena ironica drammaturgia: pochi personaggi sulla scena (pur se di delitti e criminali son pieni i racconti della moglie a tavola), quasi tutto si svolge nei locali dell’appartamento “di classe” dei due (o sul terrazzino, nell’annessa corte sigillata, sulla terrazza-stenditoio condominiale), con brevi cronache diversive in ambulanza o in clinica. E innumerevoli dialoghi di potere. Moscato d’Asti quando arrivano i parenti della moglie; quel pranzo, dopo aver fatto l’ottimo cuoco (come nessuno sa), lui resta catatonico in poltrona nel solitario studio-camera da letto (a una piazza).
v.c.
Rapporti di coppia
it.wikipedia.org/wiki/Wile_E._Coyote_e_Beep_Beep
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