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Il termine scelto questa settimana non è di origine greca o neolatina, ma affonda le sue radici in quel sanscrito definibile come la madre di tutte le lingue…
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Il termine scelto questa settimana non è di origine greca o neolatina, ma affonda le sue radici in quel sanscrito definibile come la madre di tutte le lingue, una sorta di antitesi alla famosa e temuta babele biblica! Guru, dunque, vuol dire «pesante, venerabile» in lingua vedica, ed è affine al gr. βαρύς (barus) e al latino gravis «grave, pesante» ed indica il titolo attribuito in India inizialmente a ogni persona degna di rispetto e di venerazione, e in seguito a colui che ha la responsabilità dell’educazione religiosa dei discepoli.
Per estensione, ed assai spesso in senso ironico, chi svolge, o si attribuisce, la funzione di guida spirituale, di maestro intellettuale e simili. Più prosaicamente con la stessa parola si definisce la giacca a casacca, lunga fin quasi alle ginocchia, con colletto alto e piuttosto rigido, tipica dell’India, venuta in uso nella moda anche di altri paesi.
L’analisi storica mostra che il termine guru ha anche il valore di “maestro”, sempre nell’antichissima radice sanscrita. Il vocabolo indicò dapprima presso gli Indù una persona degna di considerazione e di onore: quindi i genitori, il sacerdote, in senso ampio il maestro. Ben presto si fissò in quest’ultimo significato, per l’ascendente quasi misterioso che aveva sugli Indiani chi sembrava possedere una scienza o una saggezza fuori del comune. A ciò si aggiungeva il fatto che il maestro, formando l’educazione religiosa del discepolo, appariva come colui che ne assicurava la salute spirituale in questo mondo e nell’altro.
La persona del guru andò così acquistando un’importanza sempre maggiore, sovrapponendosi a ogni altra, anche se legata al discepolo dai vincoli naturali più stretti. Da ultimo il guru fu divinizzato e divenne oggetto di culto per quanti seguissero la stessa confessione sua e dei suoi diretti discepoli, apparendo come il depositario autorevole di quella determinata dottrina religiosa. Il culto dei guru è tipico dell’induismo, e diffuso quindi presso quasi tutta la popolazione ariana dell’India.
Sin qui la narrazione sull’origine e la storia di questa parola. Che cosa c’entra , potremmo dire, tutto questo con la nostra consueta e settimanale analisi, spesso riferita alla nostra realtà politica? La prima e unica risposta è: assolutamente nulla! Nulla se parliamo di valore, di maestro, soprattutto dei giovani, di punto di riferimento filosofico e formativo, di depositario di saggezza e virtù!
Se però ci rifacciamo a quella sorta di degenerazione ironica in qualche modo delineata nello sviluppo storico della parola, allora ci viene in mente qualcosa che ha a che fare con la nostra disastrata situazione politica. Ecco allora che il guru (sino a qualche tempo fa si poteva dire i “guru”) si manifesta pienamente nell’evoluzione del movimento cinquestelle, dove la figura del (dei) fondatori appare sintomatica del fenomeno.
Accade così che un movimento di protesta contro corruzione e disonestà, un movimento fatto di persone, di cittadini nella loro singolarità e individualità, si trasformi in uno strano ircocervo dove tutto, ma proprio tutto, deve discendere, derivare, avere “vigenza” e “autorità”, soltanto se arriva dalle parole di qualcuno che dopo aver incanalato la protesta, teorizzandone lo sviluppo, ora si pone come una sorta di oracolo, di fonte del “sapere”, di unica autorità alla quale si deve obbedienza cieca. Una volta si diceva, nel decalogo semiserio del “capo”: quando entri con le tue idee nella stanza del capo, esci con le idee del capo!
Ecco, quello al quale assistiamo, nella evoluzione del movimento – la cui crescita sembra inarrestabile malgrado scandali ed errori – è proprio questa sindrome del guru, questa necessità, quasi ontologica di molti italiani di deporre (si spera momentaneamente) la propria intelligenza e di porre il proprio destino nelle mani del guru di turno. Una sindrome, appunto (in medicina, un complesso più o meno caratteristico di sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa, e che può quindi essere espressione di una determinata malattia o di malattie di natura completamente diversa. O in termine sociologico una fissazione senza apparente motivazione, una fascinazione) e pericolosa, soprattutto se rapportata alla storia del nostro paese e al “fatale” destino dell’uomo solo al comando che nel secolo passato ha cambiato per sempre la natura profonda e i rapporti sociali nel nostro paese.
Dunque il valore ironico ha anche una lettura drammatica. Il sonno della ragione genera mostri, celebre titolo di un dipinto di Francisco Goya sulla rivoluzione spagnola, si attaglia perfettamente alla nostra riflessione. Deporre la propria intelligenza, abdicare al proprio intuito e alla conoscenza diretta, farsi dire o dettare regole di comportamento da chicchessia, ha qualcosa di orribile! E’ una dichiarazione di impotenza, un abbandono delle proprie capacità, una rinuncia a contare davvero. Dai politici in genere (e anche dai cinquestelle apparsi sul proscenio) non si dovrebbe comprare neppure un’auto usata, come usa dire quando non ci si può fidare! Ora siamo al peggio: non esiste ragione alcuna perché un comico, un guitto che ormai non fa più ridere (ma fa soldi facendo esplodere ilarità forsennata e a comando contro obiettivi consolidati e facili e vorrebbe interpretare il sentire del popolo – popolo che non guadagna milioni di euro per vaffa ed offese di ogni genere dal palco reale o virtuale del web) abbia un peso così rilevante nell’agone di una politica ormai sfilacciata e incapace di rigenerarsi! Ma soprattutto è inquietante che dopo aver mandato i suoi cittadini a far politica, il guru bacchetti ogni vagito e ogni piccolo tentativo di dire qualcosa che non sia una lezioncina ammannita dalla mitica piattaforma Rousseau e da essa certificata. In più abbiamo assistito alla pantomima del sito web, che il guru ha “candidamente” detto non essere in grado di controllare! E qui la sindrome assume connotati che orientano sulla schizofrenia paranoide. Un dato che sembra però perfettamente interpretare buona parte dell’italiano di oggi! Con i capelli dritti dal timore, speriamo che uno scappellotto arrivi a svegliare questo paese prima che sia troppo tardi! In proposito, ci soccorre una sorta di mantra ideato da un altro comico italico che univa il “vaffa” al termine “guru”! Lasciamo a chi legge la pronuncia rituale del risultato!
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::autore_::di Roberto Mostarda::/autore_:: ::cck::1920::/cck::