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Il bersagliere nero

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Bersaglieri alla Battaglia di Rivoli, 22 luglio 1848 di Stanislao Grimaldi del Poggetto (1950)
A Rosignano Monferrato, in Piemonte, c’è una targa in onore di Michele Amatore, un vero eroe non solo per quei tempi nel piccolo regno sabaudo, circa centottanta anni fa, ma per il fatto di essere un uomo di colore nativo del Sudan.

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A Rosignano Monferrato, in Piemonte, nel cuore del vecchio borgo si trova, affissa al muro di una casa, una targa in onore di Michele Amatore che recita tra l’altro: “Cuor leale animo invitto, proposto esempio di tenacia e volere per propria tenacia divenuto capitano dei bersaglieri e cavaliere dell’ordine di san Maurizio e Lazzaro. Qui morì il 28 giugno 1883. Alcuni bersaglieri“.
Insomma, un vero eroe e fin qui nulla di strano, sono centinaia le targhe in Italia che ricordano persone valorose, ma Michele ha qualcosa di particolare non solo per quei tempi, ricordiamo che siamo nel piccolo regno sabaudo circa centottanta anni fa, ma per il fatto di essere un uomo di colore nativo del Sudan.
Il futuro ufficiale italiano viveva, infatti, da bambino, con la famiglia, in un villaggio chiamato Commi ed il suo nome era Quetto.
Aveva appena sei anni quando, insieme agli altri abitanti del piccolo gruppo di capanne, venne assalito dai predoni e trasformato in schiavo da vendere sui mercati delle città arabe.
Il padre del bambino che era anche il capo del villaggio tentò di ribellarsi, ma venne massacrato e Quetto si trovò ben presto isolato dai suoi affetti e incolonnato con altri disperati in una marcia nel deserto di oltre centocinquanta chilometri per raggiungere la capitale Kartum con l’unica prospettiva di essere solo uno schiavo.
Nulla lasciava presagire come in breve tempo sarebbe cambiata la sua vita.
Dopo alcune trattative venne venduto a dei commercianti egiziani del Cairo e qui per una serie di circostanze fortuite venne riscattato da un medico italiano, il monferrino Luigi Castagnone e accolto da un altro medico, sempre piemontese, Maurizio Bussa.
Per il piccolo Quetto si aprì una nuova vita e con la nuova famiglia, pur non potendo essere adottato per  motivi legali, si stabilì a Felizzano nella provincia di Alessandria.
Nella piccola cittadina non era cosa da tutti i giorni vedere una persona di colore, ma venne accolto ugualmente con simpatia dagli abitanti, tanto che all’età di sedici anni fu proprio il vescovo di Asti che lo volle battezzare dandogli il nome di Michele Amatore.
Sempre più inserito nella vita quotidiana divenne anche uno stimato commerciante, ma nel suo cuore rimaneva il sogno di vendicare la sua famiglia e qualche anno dopo riuscì ad imbarcarsi per l’Egitto per realizzare il suo tragico scopo.
Ma gli anni in Italia e la sua profonda fede cattolica, ben presto lo fecero desistere dall’insano gesto e così cercò di stabilirsi pacificamente al Cairo.
Nel frattempo nella sua patria adottiva le cose stanno cambiando.
Il regno di Piemonte aveva dichiarato guerra all’Austria, siamo nel 1848, dando vita al nostro Risorgimento ed al sogno di una Italia libera ed unita.
Michele non esita a tornare per arruolarsi e, grazie al suo fisico prestante, viene arruolato nel nascente corpo dei bersaglieri.
Pur nella disastrosa sconfitta della guerra, Michele si distingue per azioni di grande coraggio tanto da essere promosso caporale.
Ormai il suo destino è segnato; sarà per sempre un militare.
Nella seconda e più fortunata guerra d’indipendenza non solo si coprì di atti eroici, ma dimostrò anche una chiara predisposizione al comando per il quale venne promosso sottotenente con tutti le gratificazioni che questo comportava.
Con la nascita del nuovo Stato unitario, il nostro sarà incaricato di delicate azioni contro il banditismo specialmente in Sicilia che in quegli anni mieteva, insieme al terrore, anche tante vittime innocenti.
Come nelle altre occasioni già accennate, anche qui si coprì di onore tanto che nel 1863 venne promosso ed insignito dal re in persona della più alta onorificenza del Regno: quella di Cavaliere mauriziano che lo rendeva virtualmente “parente” allo stesso sovrano.
Tra una guerra e l’altra trovò anche il tempo di mettere su famiglia sposando una ragazza lombarda, Rosetta Brambilla.
Quando lasciò l’esercito, nel 1880, fu rimpianto dai suoi soldati, come ricorda la targa già citata, da tutti i suoi paesani e persino dal re di Prussia che lo insignì di una medaglia per meriti di guerra.
Chi avrebbe mai detto che quel piccolo ed indifeso africano di appena sei anni con il destino segnato della schiavitù avrebbe fatto una simile carriera in una terra lontana al di la del Mediterraneo, ma, almeno allora, più accogliente.

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::autore_::di Antonello Cannarozzo::/autore_:: ::cck::1925::/cck::

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